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Effetto paranza: la pesca illegale del merluzzo in Italia

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Francesco De Augistinis / CorriereTv

Li chiamano merluzzetti «da frittura» o «da paranza»: sono merluzzi (o più precisamente “naselli”, nome scientifico merluccius merluccius) lunghi tra i 7 e i 20 centimetri e si usano nella frittura mista di pesce, insieme ad altre specie come le triglie. Durante una settimana di indagini tra i porti italiani del Tirreno abbiamo scoperto che è estremamente facile trovarli, tra le banchine dei porti, in alcuni ristoranti e rivenditori. Eppure la loro vendita per il consumo umano è proibita da norme europee e nazionali, perché venderli, mangiarli, pescarli vuol dire condannare questa specie già gravemente sovrasfruttata al definitivo collasso.

«Quando non scegli gamberi e calamari, la stragrande maggioranza del pesce che trovi nella frittura del ristorante è merluzzo, triglie e busbane», ci dice Angelo Grillo, presidente di una delle cooperative di pescatori di Anzio, il principale porto di riferimento di Roma. Il pescatore spiega come sia diventato sempre più raro trovare merluzzi grandi, ovvero tra gli 800 grammi e 1 chilo di peso: «Di solito di questi merluzzi più grandi se ne prende una cassa, due casse, tre casse», afferma. «Il merluzzo lo dobbiamo portare a terra che sia di almeno 20 cm… allora quello tra 18 e 20 cm diventa frittura».

La soglia minima stabilità dalla legge per vendere un merluzzo è di 20cm di lunghezza, ma quello che abbiamo incontrato nei porti che abbiamo visitato in Toscana, Lazio, Campania e Sicilia è uno scenario molto diverso: un diffuso mercato nero, in cui merluzzi di pochi cm e quindi di poche settimane di vita vengono pescati, venduti tramite canali alternativi alle aste ufficiali, e consumati in ristoranti, case e persino sagre. E molti pescatori, intanto, che si lamentano praticamente ovunque perché di merluzzi se ne trovano sempre meno.

«Questo è lungo 20 cm, che dovrebbe essere la dimensione minima per vendere i merluzzi nel Mediterraneo», afferma Javier Lopez, direttore di campagna per l’ong Oceana, che ci accompagna tra i porti Italiani per svolgere questa inchiesta. Lopez mostra un esemplare che ha appena acquistato nel mercato di Porticello, il principale mercato ittico della Sicilia, a pochi chilometri a est di Palermo – reso celebre alle cronache per la tragedia del Bayesian. Ma questo esemplare è l’unico a norma della cassa di circa 3 chili che il ricercatore ha appena acquistato per 30 euro: tutti gli altri sono sotto taglia, per lo più tra i 7 e i 15 cm di lunghezza, e quindi illegali. «Quello che stiamo facendo è denunciare che questa vendita è più frequente di quanto si possa immaginare», ci dice Lopez. «Per noi purtroppo è stato molto semplice, almeno lungo la costa occidentale dell’Italia, trovare questi naselli giovanissimi».

La crisi del merluzzo

Secondo le stime più recenti dello «Scientific, Technical and Economic Committee for Fisheries», il comitato scientifico europeo che monitora lo status degli stock ittici, il nasello è la specie “demersale” (ovvero che vive in prossimità del fondale) più sovrapescata del Mediterraneo occidentale, la parte di Mare nostrum che dalle coste Italiane raggiunge la Spagna. Nelle porzioni di mare italiane, gli stock di merluzzo sono stimati intorno al 9 per cento dei livelli considerati sostenibili, ovvero per scongiurare il collasso della specie, l’attuale popolazione dovrebbe essere 10 volte più numerosa. Il principale responsabile di questa sovrappesca, secondo lo stesso documento, è la pesca a strascico, che insiste proprio sui fondali, ed è per sua natura la meno selettiva.

«Prima venivano da tutte le parti a pescare qui, li chiamavano i merluzzari», ci racconta Salvatore Spina, decano dei pescatori di Anzio, mentre siede su una panca ad osservare con malinconia lo svolgimento dell’asta del pesce all’ingrosso, che si svolge al porto ogni pomeriggio al rientro delle barche. «Il pesce bianco come il merluzzo si ributtava a mare, erano quintali e quintali che si mettevano a bordo ogni due o tre ore di pesca» ricorda Spina.

Oggi la situazione è molto diversa, non solo a Anzio ma in tutto il Tirreno, e forse è proprio per questo che molte barche «per fare la giornata» prendono anche i piccoli, pur sapendo che in questo modo mettono a repentaglio la loro stessa fonte di sostentamento.

«Il merluzzo si trova in una condizione di totale collasso biologico», afferma Giulia Guadagnoli, responsabile di Oceana per la pesca nel Mediterraneo, che partecipa con noi all’indagine nei porti italiani. “La specie, se vai a pescare i cuccioli, non si riesce a riprodurre, non riesce a recuperare”, afferma.
Eppure nell’arco di una settimana abbiamo sistematicamente raccolto prove di pesce sotto taglia venduto nelle banchine di Porto Santo Stefano, Anzio, Torre del Greco, Porticello, e in molti ristoranti, rivenditori, banchi del mercato, tra cui Nettuno, Torre Annunziata, Napoli.
«Magari non arrivano ai supermercati» commenta Guadagnoli, “perché c’è un controllo di un certo tipo. Poi nei supermercati arriva molto di più il merluzzo atlantico, mentre il merluzzo europeo, del Mediterraneo, non arriva quasi per niente perché sta sparendo”.

Fritto misto

Il 30 maggio un investigatore di Sea Shepherd, altra ong che ha collaborato in alcune fasi di questa inchiesta, ha visitato la «Festa del pescato di Paranza», nel comune di Castellabate, in Cilento. Tornato a casa, ha condiviso delle fotografie di decine di merluzzi fritti lunghi tra gli 8 e i 12 cm.
La «paranza» è il nome tipico della frittura di pesci piccoli, un piatto ideato originariamente per non sprecare i pesci di piccola pezzatura, che ha preso il nome da una delle prime tecniche di pesca a strascico della storia. Di «paranza» si parla spesso tra chi vende merluzzetti tra i moli e i mercati che visitiamo in Campania e in Sicilia. Persino alcuni dei più noti siti di ricette tra gli ingredienti per la frittura di paranza consigliano di usare «pesciolini misti di piccolissima taglia (merluzzi, triglie, sogliole)».

Proprio la domanda per la frittura di pesce sembra essere il motore economico di questa pesca illegale: “La frittura fa un pochettino di prezzo in più del merluzzo medio, perché a consumarla al ristorante è più rinomata di un merluzzo lesso”, ci rivela un pescatore nel porto di Anzio. Un altro ci mostra dei contenitori blu pieni di pesce che sta portando via dal molo. Tra le varie cassette, una sola è coperta, nascosta: “Questa è per frittura”, ci dice, mostrando fugacemente il pesce. Proprio una di queste “cassette blu” sarà comprata qualche giorno dopo dagli investigatori di Oceana, rivelandosi piena di naselli sotto taglia.

A Porticello un ex pescatore ci racconta di un vero e proprio «mercato nero» del pesce sotto taglia, molto richiesto dai ristoratori. Un’economia di contrabbando che spinge le barche a pratiche illecite: «Mettono un ‘cuoppo’ (ovvero un sacco cieco, ndr) in fondo alla rete per tenere i merluzzi piccoli e le neonate di altri pesci», afferma.

Pesca selettiva

«Per normative europee la rete dovrebbe avere maglie abbastanza grandi da permettere la fuoriuscita di questi piccoli,” afferma Guadagnoli, mentre misura alcuni esemplari comprati a Torre del Greco. «Questi sono talmente tanto piccoli che probabilmente la rete non era a norma, perché con una rete con maglie da 40 mm, che è il minimo attualmente, non si possono pescare pesci così piccoli».
Secondo un’analisi dell’attività di pesca effettuata con gli strumenti del Global Fishing Watch, i pescherecci a strascico insistono spesso su «aree di nursery», dove crescono i giovanissimi merluzzi, che in alcuni casi avrebbero limitazioni alla pesca. I pescherecci di Gaeta, ad esempio, nel 2023 hanno maturato 431 ore di apparente attività di pesca in aree dove la presenza di aree di nursery dei merluzzi è quasi certa (80-100 per cento di possibilità) e altre 1039 ore in aree dove le nursery sono altamente probabili (60-80 per cento). Le barche di Porto Santo Stefano hanno totalizzato oltre 1600 ore di pesca apparente in questo tipo di zone, quelle di Mazara del Vallo 795, quelle di Civitavecchia 219.

Questa pesca è ancor più devastante se fatta con reti illegali. A Porto Santo Stefano un pescatore che ci chiede di mantenere l’anonimato ci parla di una «“pratica comune» di cambiare le reti fuori dal porto, e di buttare fuori bordo parte del pescato non a norma prima di rientrare. Anche se non abbiamo potuto raccogliere prove per riscontrare queste affermazioni, abbiamo filmato due pescherecci fermi per diversi minuti fuori dal porto, prima di rientrare, circondati dai gabbiani mentre buttavano qualcosa di indefinito in mare.

A Civitavecchia troviamo i pescherecci a strascico fermi in banchina a causa del maltempo, con diversi marinai intenti a cambiare le reti a seguito di alcune sanzioni comminate dalla Capitaneria di Porto soltanto il giorno precedente. «Gli ambientalisti, quelli cattivi, […] hanno voluto che noi peschiamo con il sacco [con maglie] da 50 mm»,  ci dice Salvatore Cicatello, presidente della locale cooperativa dei pescatori, raccontando le difficoltà del settore di fronte a normative sempre più stringenti. «Se io devo aspettare che il pesce mi cresce, […] ma quando diventa così grosso per catturarlo con il 50 mm?», afferma Cicatello.

Secondo Oceana, l’utilizzo di reti a maglie più larghe è una delle soluzioni più efficaci per evitare la pesca di merluzzi sotto taglia, insieme all’interdizione alla pesca in alcune zone. In entrambi i casi, però, secondo l’ong queste misure sono destinate a restare lettera morta se non accompagnate da una adeguata politica di controlli: «Dobbiamo impedire che i pesci sotto taglia, illegali, raggiungano i consumatori», afferma Lopez, sottolineando il ruolo delle autorità, e auspicando una maggiore sensibilizzazione delle persone, che dovrebbero essere informati sulle conseguenze dell’acquistare pesci così piccoli.

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