
DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV – Perfino Superman ha le mani tra i capelli e lo sguardo angosciato sopra la scritta «Niente panico», perché il panico si può forse controllare ma non rimuovere quando il palazzo a un centinaio di metri da questo murale è stato sventrato da un missile. Gli appartamenti senza i muri esterni, visibili da fuori come una casa di bambole con cui nessuno vuole più giocare. E sono in tanti a venire tra le rovine di questo quartiere a Bat Yam, pochi chilometri a sud di Tel Aviv, per vedere, per capire che la guerra sta colpendo ovunque, soprattutto quella grande area metropolitana dove abitano due milioni di persone con al centro la città che è più vecchia dello Stato di Israele (è stata fondata nel 1909) e ne simboleggia la volontà di restare giovane a costo di sfiancarsi.
Sirene nel pomeriggio
È questa forza — la vitalità — che gli ayatollah vogliono spossare, considerano la società israeliana il punto debole dello Stato ebraico, il cosiddetto ventre molle: forse non si rendono conto che mentre risuonano gli allarmi, qualcuno sta facendo gli addominali in spiaggia e altri sono usciti a correre. Usano l’inquietudine dell’attesa, l’incertezza che diventa paura costante, per svuotare le strade, spegnere le luci della città che una volta non dormiva mai festaiola e ora resta insonne nei rifugi. Le sirene sono rimbombate di nuovo in tutto il Paese, pure nel pomeriggio, le ondate di missili si sono succedute: le testate esplosive riescono ancora a bucare il sistema di difesa, ad Haifa i palazzi sono in fiamme. I pasdaran proclamano da Teheran: «Arriverà una risposta devastante».
La divisa in nero
Il premier Benjamin Netanyahu visita gli edifici in macerie a Bat Yam, dove le persone uccise sono 7, indossando la camicia scura che considera la divisa da comandante in capo. «L’Iran pagherà un prezzo altissimo per questi attacchi contro i civili». Tocca a lui — che per qualche voto in più ha aizzato gli elettori della destra contro i cittadini arabi di Israele — condannare l’entusiasmo e l’esaltazione via social media per le vittime di Tamra: «Quattro nostri cittadini sono stati uccisi. Ho sentito le urla di gioia e le rigetto con disgusto. I missili non distinguono tra arabi ed ebrei».
Mister Sicurezza
La scelta di camminare davanti alle telecamere nella polvere degli edifici di Bat Yam dimostra quanto questa sia la sua guerra, quella che immagina e pianifica da 16 anni: nei kibbutz devastati dai terroristi palestinesi il 7 ottobre del 2023 non è mai andato. Mister Sicurezza — come si faceva chiamare prima della mattanza — vuole cancellare quella devastante sconfitta con questa vittoria, è convinto di poter lasciare in eredità agli storici e agli israeliani un Medio Oriente mutato. Anche se i generali avrebbero avvertito — secondo i telegiornali locali — che le vittime civili nel conflitto con l’Iran potrebbero essere tra 800 e 4.000. In un’intervista all’emittente Fox Bibi vagheggia «di un cambio di regime come risultato della guerra», un obiettivo che il suo stato maggiore smentisce.
«Khamenei resta un bersaglio»
E smorza subito le voci sul veto che sarebbe stato posto dal presidente Donald Trump «all’eliminazione di Ali Khamenei»: la Guida suprema resta un bersaglio per gli israeliani, sottintende. Sempre al canale americano spiega che «gli iraniani erano in grado di produrre la Bomba in pochi mesi e l’avrebbero passata agli Houthi in Yemen», i ribelli sciiti armati dalla Repubblica islamica.
Gli obiettivi a Teheran
Tsahal penetra sempre più in profondità in Iran, i jet hanno colpito l’aeroporto di Mashad nel Nordest del Paese. Gli scienziati impegnati nel programma atomico uccisi sono diventati 14, mentre i missili hanno allargato gli obiettivi nella capitale Teheran: il quartiere generale dei servizi segreti (eliminati il capo e il vice), la caserma centrale della polizia, le persone uccise in totale sarebbero 224, secondo il ministero della Sanità iraniano. Netanyahu annuncia che i bombardamenti hanno demolito «l’installazione principale del sito di Natanz».
Casa Bianca riluttante
Bibi, rivela la testata digitale Axios, preme perché gli americani entrino nello scontro per distruggere totalmente il programma atomico degli ayatollah, gli israeliani sanno che da soli non possono smantellare l’impianto costruito a Fordow dentro una montagna. La Casa Bianca resta riluttante anche se le forze del Centcom hanno partecipato in queste notti alla difesa di Israele. «Potremmo decidere di intervenire», commenta Trump. In realtà Bibi è preoccupato che l’amico Donald lo costringa nei prossimi giorni a fermare l’operazione Leone che sorge, fonti nel governo a Gerusalemme ammettono al quotidiano Yedioth Ahronoth che «gli sforzi per il cessate il fuoco sono già in corso, non ci sono ancora proposte concrete».
Chi cerca l’intesa
Il presidente minaccia il regime a Teheran — «se colpite le nostre basi, risponderemo con una potenza mai vista» — e allo stesso tempo predice: «Iran e Israele dovrebbero trovare un accordo e troveranno un accordo». Trump vuole ancora ottenere un’intesa sul nucleare con gli ayatollah: a quello il suo invitato Steve Witkoff stava lavorando, ieri avrebbe dovuto incontrare in Oman gli emissari del regime. Anche gli iraniani sembrano disposti a riprendere le trattative, con la condizione dello stop ai raid israeliani: «Qualunque intesa deve garantirci il diritto di sviluppare un programma atomico civile — dichiara Abbas Araghchi, il ministro degli Esteri — e in cambio siamo pronti ad assicurare che non produrremo armi nucleari». È evidente che la Casa Bianca conta sulla pressione militare israeliana. Vladimir Putin ha chiamato Trump due giorni fa per il compleanno e quando ha messo giù i suoi assistenti hanno composto il numero di Khamenei che ha ricevuto — scrive il quotidiano Israel Hayom — un messaggio meno festoso: «Siete in pericolo, vi conviene negoziare».
16 giugno 2025 ( modifica il 16 giugno 2025 | 00:04)
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