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Il ministro Crosetto: «Israele ha il timore che l’Iran usi l’atomica. Io sono preoccupato da un anno, così si rischia l’escalation»

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Ministro Crosetto, oltre un anno fa lei disse che la situazione tra Israele e Iran era la sua massima preoccupazione. Ora?
«È vero, ero molto preoccupato di ciò che poteva accadere per un motivo molto semplice, la corsa dell’Iran verso l’arricchimento dell’uranio e la costruzione della bomba atomica, era ed è inaccettabile per Israele. Perché l’Iran ha ribadito, più volte, che il suo scopo è distruggere non Israele — che non chiama nemmeno Stato di Israele, ma “entità sionista” — ma ogni presenza israeliana nella regione. Il giorno in cui l’Iran avesse la bomba atomica, non perderebbe un’ora: la userebbe e senza esitazione. Israele lo sa, lo ha sempre saputo, ed è la sua principale preoccupazione. Per questo non era difficile prevedere che prima o poi sarebbe partito un attacco rilevante».

Quindi lei ritiene che esista davvero il rischio di una guerra nucleare?
«Purtroppo, non possiamo escludere nulla. A ora, non ci sono segnali concreti di imminente impiego di armi nucleari da parte di Israele che invece vuole neutralizzare questi armamenti. Ma, come in ogni conflitto, e in questo caso ancora di più, è fondamentale agire con assoluta prudenza. È nostro dovere lavorare affinché la tensione si abbassi il prima possibile e si trovi una forma di nuova convivenza tra Israele e Iran. Altrimenti, il rischio di escalation è molto più grave rispetto ad altri scenari globali».

Quali?
«Il principale è quello di un allargamento del conflitto. Un’escalation potrebbe avere gravi ripercussioni sull’economia, sull’approvvigionamento energetico e sulla sicurezza interna. Lo Stretto di Hormuz sarà uno dei punti critici, nelle prossime settimane, ma anche a medio-lungo termine la situazione può avere conseguenze importanti, incluso un aumento del rischio di attacchi terroristici».

Anche in Italia?
«Da noi il rischio maggiore è quello di atti dimostrativi da parte di gruppi radicalizzati. Al momento, non ci sono segnali di organizzazioni specifiche con intenzioni dirette sull’Italia. Ma i nostri servizi di intelligence, così come le forze di polizia, operano con la massima attenzione e reattività come sempre. Sono stati rafforzati i dispositivi di sicurezza in tutto il Paese, ma senza creare allarmismi».

Trump ha detto di essere stato informato da Israele dell’attacco. L’Italia ha ammesso di essere all’oscuro. Non crede sia arrivato il momento di rivedere i nostri rapporti internazionali?
«No, semmai è arrivato il momento di rinsaldare i nostri rapporti internazionali. Dobbiamo rimanere saldamente ancorati alla Nato e all’Europa, ma al tempo stesso rafforzare la nostra autonomia strategica. In questo caso, non c’è stata alcuna comunicazione né all’Italia né ad altri Paesi europei, come Germania, Regno Unito o Francia. Ma era evidente da tempo, come ho già detto, che prima o poi ci sarebbe stato un attacco. L’attenzione doveva restare altissima».

Lei, più volte, ha invitato Netanyahu a fermarsi, ma i fatti dimostrano che le intenzioni sono altre. Che fare?
«La comunità internazionale deve continuare a chiedere a Netanyahu di fermare gli attacchi militari su Gaza. Hamas va combattuta, certo, ma in un altro modo. La popolazione civile palestinese deve poter tornare a vivere una vita normale, avere una casa, una terra, una prospettiva. Altrimenti non si uscirà mai da un conflitto perenne che, da troppo tempo, stringe quella regione come in una morsa».

Dopo l’elezione Trump disse che avrebbe fatto finire tutte le guerre in una settimana, ma la sua politica va in direzione opposta.
«Non lo penso, credo sia nel suo interesse far finire tutte le guerre, a Gaza come in Ucraina. Il problema è che non è così semplice: non basta la volontà di Trump per far finire una guerra. Come ha detto, parlando dell’Ucraina, c’è una sola persona che può fermarla in un secondo: chi l’ha iniziata, Putin».

L’attacco all’Iran ha peggiorato la situazione a Gaza.
«Sì, certamente. I conflitti si alimentano a vicenda: violenza chiama violenza. Ogni atto ostile contro l’Iran rafforza le spinte estremiste nei territori collegati a Teheran. A Gaza, in Libano o nel Mar Rosso, ci sono attori definiti “proxy” proprio perché rispondono direttamente agli input iraniani».

Resta fermo a non volere schierare truppe in Ucraina?
«Sì, è una posizione ferma. Sarebbe surreale farlo, proprio ora. E mi pare che anche la coalizione dei Volenterosi, dopo mesi di discussione, sia arrivata alle stesse conclusioni che io e il presidente Meloni abbiamo espresso già mesi fa».

E in altri teatri di guerra?
«Noi non mandiamo i nostri soldati in teatri di guerra. Mai. Li inviamo in aree dove si è stabilita una pace o durante fasi di tregua e per garantire la stabilità di quei Paesi. I nostri militari non vanno all’estero per combattere: non rientra, tra l’altro, nelle possibilità previste dalla nostra Costituzione».

I nostri arsenali militari sono quasi vuoti. In che modo continueremo a mandare armi all’Ucraina?
«È evidente che non possiamo lasciare le nostre scorte vuote. Stiamo attivando nuovi contratti e rivedendo la logistica. Ma continueremo a sostenere l’Ucraina, nei limiti del possibile, perché non si può lasciarla sola sotto un attacco che continua senza sosta, violando il diritto internazionale. Quando ci sarà una vera tregua e inizierà un realistico percorso di pace, allora cesseremo il supporto militare».

La Nato ci chiede di arrivare al 5% delle spese militari, ma noi fatichiamo anche a raggiungere il 2%.
«La Nato chiederà, probabilmente, come spese, un 3,5% in difesa e un 1,5% in sicurezza. È un obiettivo ambizioso, ma nessuno di noi pensa di raggiungerlo in uno o due anni. È ragionevole fissare il traguardo al 2035, con un aumento massimo dello 0,2% l’anno, così da renderlo compatibile con il nostro bilancio e senza toccare spese essenziali come sanità, welfare e istruzione. L’ho detto e ripetuto più volte».

Servono 40 miliardi. Dove li troverete?
«L’obiettivo è raggiungibile in dieci anni, non in sei mesi. In tal modo sarà possibile mantenere le compatibilità con tutte le altre priorità, senza tagliare servizi fondamentali».

Il piano Rearm Europe può diventare presto operativo?
«Rearm Europe, più che un piano definito, è un’idea che lascia agli Stati la libertà di contribuire secondo le proprie capacità. Il nostro compito è rispettare gli impegni Nato e gli assetti richiesti. Ogni Paese ha un ruolo assegnato. Così, contribuiamo anche a costruire un futuro sistema di difesa europea, basato sugli stessi criteri e principi della Nato».


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15 giugno 2025

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