Home / Politica / Dal Bangladesh al Giappone, i contadini degli orti comunali a Bologna: «Ci sono anche infermieri, la zappa serve per rilassarsi»

Dal Bangladesh al Giappone, i contadini degli orti comunali a Bologna: «Ci sono anche infermieri, la zappa serve per rilassarsi»

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Addirittura una delegazione di docenti universitari giapponesi è passata dagli orti Salgari al Pilastro per studiarne le particolarità. 427 lotti, di circa 40 metri quadrati l’uno, compongono l’area ortiva più ampia e più multiculturale della città.

Ne va fiera Maria Cristina Gnudi, presidente dell’associazione Zona ortiva via Salgari che la gestisce. «Non è solo la più grande di Bologna — sottolinea — è la più vasta d’Italia, pari a cinque campi da calcio. E’ stata riaperta due anni fa dopo una lunga riqualificazione durata tre anni». In questo caso, la lista d’attesa è corta: «solo» un centinaio le richieste; le dimensioni rendono probabilmente il turn over più semplice.

Il 24% dei contadini è di origine straniera

Il 24% degli orti è coltivato da cittadini di origine straniera. «Qui c’è uno spaccato del mondo, un esempio di integrazione culturale — racconta Cristina —. Il 37% degli stranieri proviene dal Bangladesh, poi dalla Moldavia, India, Filippine, Ucraina, Romania, Albania, Perù, Germania, Svizzera, Benin. Abbiamo 25 nazionalità diverse rappresentate, anche un’ortolana giapponese».

Le nuove coltivazioni

Le coltivazioni così si arricchiscono: non solo pomodori, insalate, zucchine, melanzane, ma anche qualche nuova spezia, tanta menta, specie di ortaggi particolari come il cavolo cinese, molto diffuso nelle cucine orientali. «La nostra ortolana giapponese ci spiega però che non sempre riesce a importare dal suo Paese d’origine i semi che vorrebbe», spiega Cristina. 

Non solo un luogo d’incontro di culture e colture, ma anche di generazioni diverse. Tra gli assegnatari degli orti Salgari, la fascia d’età più rappresentata è quella dei 40-50enni, ci sono ben 33 20enni, ma anche una trentina di 80enni e diversi over 90: «Abbiamo molti giovani, tanti sono studenti universitari — sottolinea — anche infermieri, operatori sanitari, persone che hanno una vita stressante, fanno turni pesanti e scelgono l’orto per rilassarsi. Abbiamo i 90enni che aiutano i ragazzi, c’è uno scambio di conoscenze e di esperienza. Qualche lamentela non manca, qualche piccola discussione, ma in linea di massima c’è una buona convivenza». 

«L’orto è come un condominio»

La signora Maria Grazia ha 91 anni ed è una delle ortolane con l’incarico di sovraintendere un’isola di orti (sono 6 le isole in cui è articolata l’area), così controlla che non vengano portati oggetti non idonei all’interno dei lotti e che siano adeguatamente curati. Come lei, la signora Giuseppina, ultranovantenne, che abita proprio di fronte, si prodiga a togliere le erbacce qua e là

«La vita negli orti presenta dinamiche abbastanza simili a quelle di un condominio — osserva Maurizia Campedelli, presidente provinciale di Ancescao, che riunisce molte Case di quartiere a cui fanno riferimento gli orti —. A volte gli ortolani si sentono un po’ come dei proprietari terrieri, invece è importante diffondere una maggiore consapevolezza degli orti come bene comune. C’è anche bisogno di fare formazione e creare momenti di confronto, in particolare sulle tematiche della sostenibilità, sull’uso di compostaggio e sul risparmio dell’acqua».

Saragozza è la zona più ambita

Tra gli orti più ambiti, ci sono quelli a cui si accede dal cancello di via Saragozza 142, gestiti dalla Casa di quartiere 2 agosto 1980: «Sono orti nascosti, non affacciati sulla strada, molto ben posizionati e questo è un elemento di fascino — ammette Roberto Centazzo, vicepresidente della Casa di quartiere —. Abbiamo 50 lotti a cui si aggiunge un orto didattico rivolto alle attività con le scuole. Sono oltre 1300 persone in lista d’attesa, ci vorrebbero 26 anni per accontentarli tutti». 

Ed è proprio un richiedente degli orti Saragozza ad attendere il piccolo lotto di terra ai piedi dei colli da più tempo, dal 2010.


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28 aprile 2025

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