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Joan Didion, una donna in viaggio verso il cuore del dolore

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Pochi scrittori hanno saputo raccontare come Joan Didion il lutto, la solitudine, il senso di colpa, la paura di non aver capito tutto ciò che bisognava capire: insomma, «quel posto che nessuno conosce finché non ci arriva» che si chiama dolore.

Di una bellezza elegante e, negli ultimi tempi, fragile, come la mostra anche Il centro non reggerà, il bel documentario girato dal nipote Griffin Dunne quando già era malata di Parkinson, Didion, nata a Sacramento, in California, da una famiglia borghese il 5 dicembre 1934, è morta a New York il 23 dicembre 2021. Esponente di quel New Journalism che negli anni Sessanta rivoluzionò la scrittura giornalistica liberandola dai legacci stringenti della cronaca, è stata una narratrice di straordinaria, spietata nitidezza. Intellettualmente libera, ha guadagnato nel tempo un’autorevolezza che l’ha consegnata al gotha dell’intellighenzia americana.

Il suo stile intimo, modellato su un minimalismo evocativo, spesso diaristico, lo si ritrova sia negli articoli per «Vogue», dove da giovanissima aveva iniziato la sua carriera, e poi per «The Saturday Evening Post», «Life», «Esquire», «New York Times», raccolti in Verso Betlemme e in The White Album, sia nei testi narrativi che attraversano la sua esperienza personale. Il suo riferimento letterario era Ernest Hemingway, ma nelle sue opere non c’è nessuna traccia mimetica dello stile del maestro.

L’esordio nel romanzo è del 1963 con Run, River, a cui seguono diversi titoli narrativi e raccolte di reportage, tra cui quelli di Finzioni politiche che raccontano la democrazia americana attraverso le campagne presidenziali. Ma è negli ultimi vent’anni che la sua vita e il suo modo di fare letteratura registrano una svolta. Nel 2005 vince il National Book Award nella categoria saggistica con L’anno del pensiero magico, in cui indaga con le armi del giornalismo investigativo l’improvvisa malattia della figlia Quintana e la morte di John Gregory Dunne, anche lui critico e scrittore, suo marito, nel bene e nel male, per 39 anni, stroncato da un infarto mentre lei sta mescolando l’insalata per la cena e lui ha appena finito di dirle perché la Prima guerra mondiale è l’avvenimento cruciale da cui deriva tutto il ventesimo secolo.

«Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita», sono le parole, diventate icastiche, per dire quell’addio impossibile, governato dal pensiero magico del titolo, dall’idea infantile che desiderare fortemente qualcosa possa servire a farla accadere, come non buttare le scarpe di lui, perché quando torna ne avrà bisogno.

Nel 2013 Barack Obama le conferisce la Medaglia per le Humanities: due anni prima era uscito Blue Nights, dove, con una compostezza che brucia, la malattia e la morte della figlia si intrecciano con ricordi, dubbi, riflessioni, domande, rischiarate dalle lunghe e luminose ore serali che segnano il solstizio d’estate.

23 aprile 2025 (modifica il 23 aprile 2025 | 10:01)

23 aprile 2025 (modifica il 23 aprile 2025 | 10:01)

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