Dopo l’incontro di Giorgia Meloni con Donald Trump alla Casa Bianca sembra sempre più probabile che l’Italia aumenti le importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) dagli Stati Uniti. Fino al 2021 il 40% delle forniture al nostro Paese arrivava dalla Russia via tubo con prezzi contrattati dalle compagnie importatrici, che non sono pubblici, ma che erano indicativamente inferiori o comunque erano indicizzati al mercato europeo di riferimento (il Ttf di Amsterdam) intorno o sotto i 20 euro al megawattora. Dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia le quotazioni del gas venduto sul mercato europeo si sono impennate e si sono allineate al Ttf (oggi circa 35 euro a megawattora), senza che l’Ue abbia sospeso i rifornimenti da Mosca.
«Il Gnl americano? Se conveniente in termini di prezzo, non vedo quale sia il problema», ha detto il ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti all’indomani del viaggio di Meloni negli Usa.
Il punto infatti è capire se sarà conveniente.
Quanto costa il Gnl americano
Secondo Salvatore Carollo, ex dirigente Eni e ora analista e trader specializzato in petrolio e gas, la premessa è che il Gnl è più caro ed esposto alle fluttuazioni. «Costa anche il doppio di quello trasportato via pipeline, e nei momenti di tensione del mercato asiatico può raggiungere livelli di 3-4 volte superiori».
Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Europa ha già aumentato le forniture dagli Usa, raddoppiando le importazioni rispetto al 2021 e portandole a circa il 19% nel 2024 (56,2 miliardi di metri cubi) con l’Italia che ne ha importato il 34%. Secondo i dati Istat-Agenzia delle Dogane elaborati da Staffetta Quotidiana, nel 2024 il 34% delle importazioni di Gnl in Italia proveniva dagli Usa. Stando agli ultimi dati Snam, oggi in Italia già un terzo delle 150 navi di Gnl è di provenienza americana (come spiegato qui dall’ad Stefano Venier, un terzo proviene dal Qatar, un quarto dall’Algeria e la parte restante da diversi altri paesi).
Se da un lato l’aumento di forniture di Gnl all’Ue di limitare gli acquisti di metano dalla Russia, dall’altro le impone di rafforzare le infrastrutture di rigassificazione.
Ma quale gas costa di più, quello via tubo e quello rigassificato via nave?
Gas via tubo e via nave: i costi
«La filiera del Gnl, che include liquefazione, trasporto via nave e rigassificazione, presenta costi più elevati di quella del trasporto via gasdotto – spiega il vicedirettore di Staffetta quotidiana Gionata Picchio –. Ma quanto paghiamo e pagheremo il Gnl americano dipende principalmente dall’andamento dei mercati europei, che sono il riferimento per i prezzi praticati dagli importatori». Se si considera il costo del Gnl al porto di partenza, acquistato all’Henry Hub americano – senza i costi di ricarico, trasporto e rigassificazione – i valori si aggirano intorno ai 3,2 dollari (3,5 euro) a megawattora: un decimo di quelli a cui sono riversati sul mercato europeo del Ttf, pagato oggi circa 35 euro al megawattora.
«Il gas americano ha un prezzo molto più basso di quello europeo quando viene acquistato sulle coste Usa, perché legato all’andamento del mercato americano Henry Hub, ma una volta giunto da noi viene venduto ai prezzi europei, così come accadeva al gas russo importato via Ucraina o via Nord Stream, il cui prezzo era indicizzato al Ttf olandese».
Più Gnl, quali effetti?
L’effetto di un eventuale aumento delle importazioni dagli Usa non è ancora calcolabile, e per via della mancanza di infrastrutture, l’aumento dell’import nell’immediato non potrebbe essere di grandi quantità, ma è indubbio che piccole variazioni si riverserebbero sui mercati, quindi anche sui consumatori, e su questo si possono fare stime. «Stando ai nostri studi – spiega il presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli – a prescindere dalla guerra commerciale, per l’inverno era già previsto un ribasso dei prezzi delle bollette dell’8% per gli italiani, se le importazioni dagli Usa aumentassero anche solo dell’1%, la stabilizzazione dei prezzi potrebbe portare a una riduzione delle bollette del 10%».
La stabiità dei mercati
La decisione di importare maggiori quantità dagli Usa non avrebbe risvolti immediati sui consumatori. «Ma i prezzi di mercato – spiega Davide Tabarelli – variano anche sulla base di margini piccolissimi e gli annunci di eventuali minimi aumenti delle importazioni possono generare variazioni in tempi brevi. Un aumento, anche minimo, dell’import dagli Usa non farebbe crollare i prezzi ma aiuterebbe a stabilizzare i consumi e a fare a meno della Russia, con una possibile riduzione delle bollette».
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23 aprile 2025
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