
Dalla parte di Antonio, leone coraggioso, che combatte senza risparmio lo «sparpetuo di cazzimma», la disciplina sportiva che ogni allenatore del Napoli deve saper praticare per sopravvivere. E Conte è un osso molto duro da macinare, anche per i denti affilati e l’astuzia infinita di Aurelio De Laurentiis. Non venite fuori con l’argomento che il «presidente non parla» e quindi è innocente. La suprema forma di cazzimma è proprio il silenzio, quando l’altro ha bisogno di sapere se siamo ancora amici o «scompagni a morte». E quindi Antonio lancia il suo «non ci sto!». In tutto questo i tifosi dovrebbero convincersi che la realtà è fatta di rapporti informali, colloqui, telefonate, messaggi, trabocchetti e che quindi un silenzio pubblico è niente altro che una mossa sulla scacchiera.
Ora l’accusa che si muove al tecnico è che si mette a sollevare problemi proprio nel momento della battaglia finale. La nostra versione è questa: Conte sa che il suo «miracolo» è fragile, come dimostrano gli andamenti delle partite giocate. Sa che per vincere cinque partite una dopo l’altra ci vorrà un altro miracolo e forse non lo sente molto probabile. Avverte il fragore social (non ditemi che non ha qualcuno che glieli segue perché non ci credo) e sa bene che quella è la piazza dove mettere alla berlina e lordare di insulti anche persone stimabilissime è uso quotidiano. Vorrebbe sentire la società e il Dominus Maximus dalla sua parte. E non lo sente (sparpetuo di…). In più siamo nella fase nella quale si imposta il mercato e forse non gli piace ciò che sente dire o non sente affatto. Ne conclude che una certa parte del suo corpo potrebbe essere esposta in piazza per essere abusata. E perché dovrebbe prestarsi a questo giochino?
Alle sue dichiarazioni si risponde che è il momento di tacere perché altrimenti la truppa si disunisce, insomma l’appello all’unità. La cultura reazionaria e irrealistica di questa richiesta è incommensurabile: ci sono i social, signori miei, oltre che una serie di commentatori ostili per ragioni di piccolo interesse. Solo la chiarezza delle posizioni potrebbe aiutare. Già, ma per questa società, ogni campionato è un gioco del cerino da lasciare in mano all’allenatore. La sorpresa, da vent’anni, non finisce di colpirci, è come se società e allenatore fossero in perenne competizione. E così, cambiano gli allenatori ma lo schema è lo stesso: c’è chi come Sarri riesce a metterti la piazza contro come un astuto demagogo martellandoti ad ogni intervista. C’è chi annota tutto come Spalletti e ti pianta in asso a campionato vinto, dopo una serie indecorosa di sgarbi. E c’è Antonio che accetta il corpo a corpo e te le canta. Deve ancora nascere il dirigente che lo incastra: lasciò la Juventus praticamente già in ritiro, figuriamoci se accetta l’eventuale massacro per il mancato scudetto o un mercato inconcludente, con voci su Mbappé e realtà fatta di Okafor.
La questione di fondo è che con l’arrivo di Conte – lo scrivemmo – si è aperto un dualismo fra modelli: fra la crescita senza sosta, rilanciando e investendo il risultato del player trading per diventare più grandi. E dall’altra parte la logica del calcio Napoli di tutti questi anni: una saggia bottega dove non c’è spazio per i sogni di grandezza. Il Napoli è questo, è bottega e non vi si è rassegnato, ci nuota come un pesce nella sua acqua. Se ha fatto capire a Conte che voleva cambiare, lo ha ingannato. Antonio, da parte sua, non poteva non sapere e infatti adesso lotta con un filo di disperazione. Non invocate il silenzio: siamo condannati a vivere nel fragore del conflitto, condito di forzature, silenzi e disinformazione. Si dice da noi: «E chest’è».
E per il resto forza Napoli, sempre.
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23 aprile 2025 ( modifica il 23 aprile 2025 | 07:45)
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