
Ad Harvard sono disperati: la Medical School potrebbe mettere a punto un microscopio innovativo per la diagnosi del cancro e nella ricerca sulla longevità. Ma la scienziata che ha sviluppato gli script informatici per leggerne le immagini e sbloccarne il pieno potenziale si trova in un centro di detenzione per immigrati da due mesi, mettendo a rischio progressi scientifici cruciali. Kseniia Pertova, 30 anni, di nazionalità russa, ha lavorato presso il rinomato Kirschner Lab di Harvard fino al suo arresto in un aeroporto di Boston a metà febbraio. Ora è detenuta presso il Richwood Correctional Center dell’Ice a Monroe, in Louisiana, e sta lottando contro una possibile deportazione in patria, dove ha dichiarato di temere persecuzioni e carcere a causa delle sue proteste contro la guerra in Ucraina.
Trump l’aveva già promesso in campagna elettorale di porre «fine a ogni politica di frontiere aperte dell’amministrazione Biden» e di iniziare «la più grande operazione di deportazione nella storia americana», ora il presidente Usa mantiene la parola e dichiara il suo obiettivo: espellere e almeno un milione di migranti nel 2025. Le tv trasmettono le immagini dei migranti che salgono sugli aerei che li porteranno nelle terribili carceri di El Salvador, Paese con il quale la Casa Bianca ha stretto un accordo per trasferire, in cambio di sei milioni di dollari, chi è accusato di essere membro di gang equiparate a organizzazioni terroristiche. Ma gli errori sono all’ordine del giorno. Il caso più clamoroso è quello di Kilmar Armando Abrego Garcia, residente in Maryland, moglie e figlio di 5 anni, in possesso dal 2019 di un ordine di protezione che ne proibisce la deportazione. Il 12 marzo l’uomo è stato arrestato e spedito nella famigerata prigione salvadoregna di Cecot. Il 4 aprile la giudice del Maryland Paula Xinis ha ordinato all’amministrazione americana di facilitarne il rimpatrio.
Sulla linea dura contro l’immigrazione irregolare Trump sta arrivando allo scontro con i giudici che in più di un’occasione hanno fermato i rimpatri. Il 19 aprile la Corte Suprema degli Stati Uniti ha sospeso «fino a nuovo ordine» le deportazioni di tutti i venezuelani trattenuti nel centro di detenzione Bluebonnet, in Texas.
L’atteggiamento inflessibile di Washington desta scandalo, soprattutto quando appare privo di qualsiasi umanità. Ieri la moglie di Mahmoud Khalil, studente laureato della Columbia University detenuto in Louisiana, ha accusato i funzionari federali dell’immigrazione di aver deliberatamente respinto la richiesta del marito di assistere alla nascita del loro primo figlio, per far soffrire la sua famiglia. Noor Abdalla, questo il nome della donna, ha partorito lunedì sera da sola: «Questa è stata una decisione deliberata dell’Ice per far soffrire me, Mahmoud e nostro figlio», ha detto, aggiungendo che suo marito è stato detenuto «ingiustamente». «L’Ice e l’amministrazione Trump hanno rubato questi momenti preziosi alla nostra famiglia nel tentativo di mettere a tacere il sostegno di Mahmoud alla libertà palestinese», ha aggiunto.
Khalil, nato in Siria, ha un permesso di soggiorno permanente per vivere negli Stati Uniti ma l’anno scorso si è fatto notare nel ruolo di portavoce degli attivisti del campus durante le grandi manifestazioni pro-pal alla Columbia. Per il governo federale il giovane rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale. Un giudice dell’immigrazione della Louisiana ha stabilito all’inizio di questo mese la sua espulsione. Ora la sentenza sarà impugnata presso la Commissione di Appello per l’Immigrazione.
22 aprile 2025
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