
«Fusse che fusse la vorta bbona», diceva Nino Manfredi. Il soggetto, questa volta, è il debito comune europeo. Ma quanto potrebbero rendere gli eurobond di nuovo al centro di sogni, scontri e dibattiti? Il discorso è certamente prematuro, ma la riflessione può essere interessante. Mario Draghi, ex presidente della Bce ed ex premier, nelle scorse settimane è intervenuto in Parlamento e, tra i numerosi problemi affrontati, ha sottolineato quanto sarebbe importante, se non indispensabile fare questo passo per l’Unione. Fino ad oggi le emissioni governativo dei Paesi che hanno adottato l’euro sono caratterizzate da costi per gli interessi assai differenti, legati alle rispettive pagelle di affidabilità. E l’Italia, che ha sempre pagato ma che è titolare di un debito pubblico molto elevato, ha un rating piuttosto basso. Da qui nasce il maggiore costo della raccolta rispetto ad altre emissioni governative di Eurozona. A cui corrispondono, per contro, richieste di titoli in collocamento di gran lunga superiori all’offerta. A gennaio scorso il Btp 3,65% scadenza 1 aprile 2035 ha raccolto «prenotazioni» globali per 144,588 miliardi a fronte di un assegnazione per 13. Non va sempre così, ma è chiaro che l’interesse è elevato. In questo momento l’emittente pubblico tedesco paga il 2,83% per la durata decennale delle proprie emissioni governative, l’emittente italiano il 3,88%. Oltre un punto di differenza: tra i due estremi, si va dal 3,10% delle emissioni irlandesi al 3,63% di Atene. Un valore medio euro potrebbe attestarsi a poco meno del 3,40%. Se si considera il volume annuale dei collocamenti, la via mediana potrebbe quindi arrivare, in questa fase, al 3,38%.
La strategia
Inutile ricordare che un accordo tra i differenti emittenti non è mai stato ipotizzato: sarà interessante vedere che cosa accadrà, se si dovesse dar vita ad una sorta di finanziamento per un esercito comune. Nel frattempo siamo entrati in un’epoca incerta, in cui la strategia obbligazionaria richiede un monitoraggio continuo. In area Euro abbiamo visto un’ulteriore parziale diminuzione del tasso di riferimento, mente negli Stati Uniti a questa decisione non si è ancora arrivati. La vicenda dazi sta quasi certamente condizionando il corso dell’economia, ed è naturale che le due sponde dell’Atlantico abbiano un percorso non in comune. Difficile pensare che, a fronte di applicazione di tariffe doganali, si possa ipotizzare di mantenere il tasso di riferimento di livello medio alto. L’elastico, se lo si tende eccessivamente, potrebbe anche rompersi. Probabilmente, la strategia da applicare nel comparto obbligazionario, dovrebbe tenere conto di una certa prudenza, spaziando, per i titoli governativi, tra scadenze mediamente ravvicinate, non oltre il 2028, a cui aggiungere alcune con durata superiore, non oltre il 2035. Chi si espone su titoli più lunghi deve avere una maggiore propensione al rischio e la consapevolezza che i valori di mercato potrebbero evidenziare anche variazioni mediamente elevate, sia al rialzo che al ribasso.
21 aprile 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
21 aprile 2025
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