
DAL NOSTRO INVIATO
WASHINGTON – La società civile americana è ancora viva. E settori vitali del sistema difendono la loro indipendenza. Donald Trump sta mettendo a dura prova la democrazia americana. Per settimane si è attesa una reazione dell’opposizione politica. Ma il partito democratico, oggi, non ha una leadership riconoscibile. La sinistra guidata dal senatore Bernie Sanders e dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez si sta facendo largo. Tuttavia, oggi, non sono loro a impensierire davvero Trump, a contrastarlo sul campo. La «resistenza», se così vogliamo chiamarla, è frammentata, trasversale. Forse si può cominciare dal 5 aprile, quando ci furono proteste di massa in decine di città americane. Lo slogan era «Hands Off!», giù le mani «dal governo e dalla democrazia». Aderirono ben 197 associazioni nazionali e locali, più i sindacati. Un segnale di risveglio, visto che non si vedevano manifestazioni così imponenti dal 2020, l’anno dell’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte della polizia. Questa volta, a differenza di ciò che è accaduto per Black Lives Matter e, nel 2017 per l’alluvionale «Marcia delle donne», c’è più continuità. Anche ieri ci sono state massicce manifestazioni a Washington, Atlanta e altrove.
La fronda ha preso anche altre strade, alcune impreviste. È opinione largamente condivisa che siano stati i big di Wall Street a convincere Trump a frenare sui dazi, dichiarando il 9 aprile una moratoria di 90 giorni. La figura più esposta è probabilmente anche la più potente: Jamie Dimon, 69 anni, presidente e amministratore delegato della banca JPMorgan Chase. Il 7 aprile, nella «lettera agli azionisti», il manager scrive che le tariffe trumpiane avrebbero innescato una recessione. Due giorni dopo il presidente fa marcia indietro. Dimon non molla la presa: continua a lanciare l’allarme pubblicamente, in tv, sui media internazionali e anche con una serie di conferenze nel Paese. L’ultima a Houston, venerdì 18 aprile. Si può inserire nello stesso capitolo anche la posizione di Jerome Powell. Il presidente della Fed era entrato in rotta di collisione con Trump già nel corso del primo mandato (2017-2021), più o meno per lo stesso motivo di oggi. La Casa Bianca spinge per la riduzione del tasso di interesse; Powell replica che procederà, quando ci saranno le condizioni economiche, non su ordine del governo. Il leader americano sta cercando di licenziarlo in tronco, nonostante l’indipendenza dei governatori della Fed (non solo del presidente) sia garantita dalla legge. Powell, 72 anni, ha già detto che resterà al suo posto, per rispetto delle istituzioni, fino alla scadenza del mandato, fissata nel maggio del 2026.
Più prevedibile, invece, la tenuta di una parte della magistratura. I giudici federali, quelli che possono contestare, tra l’altro, gli atti dell’amministrazione, sono 677, di questi 232 sono stati scelti da Joe Biden e 228 da Trump. Sono tanti gli ordini esecutivi firmati dal presidente e bloccati dai giudici. In particolare si distinguono due nomi. James Boasberg,62 anni,della Corte di Washington, che ha ordinato di fermare la deportazione di migranti illegali senza un processo e ora minaccia di incriminare alcuni funzionari per «disprezzo del tribunale». Paula Xinis, 57 anni, distretto del Maryland, che ha imposto al governo di rimpatriare Kilmar Abrego Garcia, deportato senza motivo in El Salvador. La Casa Bianca ha presentato ricorsi che sono finiti davanti alla Corte Suprema, ma finora ha sempre perso. Anche questa una sorpresa visto la maggioranza conservatrice (6 contro 3) nella magistratura di ultima istanza. Oltre ai giudici, qui di nuovo pesa l’attivismo delle associazioni, come la Aclu (American Civil Liberties Union), quattro milioni di iscritti, sedi in tutti i 50 Stati. La loro squadra di oltre 200 avvocati è particolarmente agguerrita, guidata da Cecillia Wang, laureata a Yale, vent’anni di battaglie legali.
Infine l’attacco trumpiano alla libertà di insegnamento nelle Università private. Il simbolo qui è Alan Garber, 69 anni, presidente di Harvard, uno dei più prestigiosi atenei del Paese. È interessante notare come Garber, medico ed economista, sia stato duramente contestato dagli studenti impegnati nelle proteste pro Palestina. Garber fa parte della comunità ebraica. Oggi si trova a difendere l’autonomia dell’università accusata dai trumpiani di essere diventata, tra l’altro, un covo di antisemiti.
20 aprile 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA