
C’è un motivo in più per vaccinarsi contro l’Herpes zoster, più noto come fuoco di Sant’Antonio: l’immunizzazione potrebbe offrire una protezione anche contro forme di demenza senile e problemi cognitivi. Lo conferma uno studio pubblicato su Nature, coordinato da un team di ricercatori dell’Università di Stanford (USA).
Non è la prima volta infatti che viene ipotizzato un ruolo della vaccinazione contro l’Herpes zoster nella prevenzione della demenza, sebbene mai prima con dati di questa entità. Già nel 2006, quando venne introdotto il vaccino negli Stati Uniti, diversi studi segnalarono tassi inferiori di disfunzioni cerebrali fra i vaccinati.
Ma come può un preparato, che addestra il sistema immunitario a produrre anticorpi contro un’infezione virale, agire sul sistema nervoso? Una possibile spiegazione è legata alla natura dell’agente in questione; con questo virus, infatti, si entra in contatto di solito durante l’infanzia quando si contrae la varicella.
Il virus, poi, resta in fase di latenza nei gangli nervosi. In situazioni in cui la difesa immunitaria si indebolisce, però, può riattivarsi e causare dolorose eruzioni cutanee, caratteristiche appunto del fuoco di Sant’Antonio.
I vaccini possono impedire il «risveglio virale» o, per meglio dire, risultano capaci di indurre una risposta immunitaria più efficace.
Una circostanza fortuita
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 50% della popolazione adulta ha contratto il virus e dopo gli 80 anni 1 persona su 3 svilupperà la malattia.
Lo studio dell’Università di Stanford, inteso a valutare gli effetti neurologici della vaccinazione sulla popolazione in età geriatrica, è partito grazie a una legge varata in Galles oltre un decennio fa.
Nel 2013 infatti le autorità sanitarie locali stabilirono che, a partire dal 1° settembre di quell’anno, le persone fra i 71 e i 79 anni avrebbero potuto ricevere il vaccino gratuitamente. Tutti gli altri, dagli 80 anni in su, avrebbero dovuto invece pagare per ricevere la loro dose.
Grazie alla scelta adottata, probabilmente per calmierare i costi, la popolazione anziana venne divisa in modo naturale in due gruppi comparabili sul piano sperimentale: gli eligibili e i non eligibili, con caratteristiche socioeconomiche e mediche analoghe. Per i ricercatori americani, una simile suddivisione si è rivelata fondamentale al fine valutare le prestazioni cognitive del campione nel tempo.
Dopo aver reclutato quasi 280 mila anziani, tutti nati tra il 1925 e il 1942, e averne monitorato le cartelle cliniche di decesso per sette anni (dal 2013 al 2020), le conclusioni hanno sorpreso gli scienziati: tra chi è stato immunizzato il rischio di sviluppare la demenza è risultato inferiore di ben 20 punti percentuali rispetto a quelli privi di copertura, soprattutto tra le donne.
«Per la prima volta possiamo affermare con maggiore sicurezza che il vaccino contro l’Herpes zoster è associato a una riduzione del rischio di demenza», dice Pascal Geldsetzer, ricercatore presso l’Università di Stanford e coordinatore dello studio. «Se si trattasse di un effetto causale, sarebbe una scoperta di enorme importanza».
Al momento, però, rimangono alcune problematiche irrisolte: allo stato attuale, non è ancora determinabile, per esempio non è stato ancora possibile compiere studi analoghi con i vaccini più recenti, che peraltro contengono frammenti proteici del virus (e sono quindi più potenti).
9 aprile 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
9 aprile 2025
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