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«Di quello che avete, che cosa vi manca?».
Se Fabrizio De André, genovese doc, in un bellissimo testo scriveva di mancanze evidenti che non gli mancavano affatto, Ernesto Franco nei versi di Lontano io (Einaudi), pone la domanda e risponde in silenzio, rimanda di continuo a un possesso negato della realtà, a tentativi di presa che sfuggono, si sfiorano, o durano così poco da non poter essere affermati. E Genova, città natale dell’autore che, spostandosi a Torino, dirigerà con successo e qualità estrema la casa editrice Einaudi, rappresenta la prima sezione e la prima tappa di un percorso di lontananze.
Genova — come già i testi precedenti di Franco, specie in prosa, ci mostrano — è la città portuale da cui si parte per un mondo sconosciuto o a cui si ritorna in vita, sviluppo dell’esistenza e presagio sereno di una morte giunta, purtroppo, troppo presto, nello scorso settembre: «Genova è una mira,/ uno scoglio,/ una fine che attira./ È qui che ti voglio». Ma l’uscita e l’entrata nello spazio incrociano l’alternanza di una dinamica verticale altrettanto significativa: dal porto, la visione e l’inizio delle salite faticose; dall’alto, l’alto rischio di una precipitazione, di uno sprofondamento cittadino che per il poeta qui si fa metafora della «talpa» e altrove dichiara essere «un’isola alla deriva».
D’altronde, la costruzione piena e integrale della città è impossibile. La realtà sempre si divide in singoli luoghi, elementi paesaggistici, colori, condizioni climatico-ambientali, strumenti specifici delle attività praticate che l’uso del lessico marino e di alcune figure retoriche restituiscono con assoluta fedeltà. Non sono i poli (opposti ma complementari) di una calamita, utili alla creazione del reale, o l’incastro dell’uomo e della donna che Gio Magnasco in Vite senza fine crede sufficiente alla nascita della pienezza vitale. Genova si sfalda, in lei c’è sempre qualcosa che manca, un vuoto che incombe, un rapporto corporeo interrotto e problematico, una relazione temporanea e infine assente: «Senza punta/ e senza bersaglio,/ Genova arco e faretra/ ha il cuore di pietra.».
La seconda sezione, Lontano da te, mette in luce una distanza enorme, tanto nello spazio quanto nel tempo, con la figura femminile, la prima e compianta moglie Fulvia a cui il libro è dedicato. La mancanza, già evidente con la morte della seconda moglie alla quale è invece dedicato il precedente libro di poesia (Donna cometa), si fa vuoto totale, abisso definitivo: lo scambio confuso e continuo tra presente e passato — reso molto bene dai tempi verbali alternati — o l’uso di categorie contrastanti — bianco/nero, luce/ombra — rendono a pieno l’effetto. Inoltre, i dialoghi immaginari con virgolettati che rappresentano frasi già dette o pensieri dell’io tra sé e sé, la forma poetica più contratta e meno positiva rispetto al passato quantificano la lontananza tra una vita piena e una assente: «Lutto/ Oltre tutto,/ per il nulla.».
Lontano dall’altro, ultima parte del volume, tratta sempre di distanza, ma stavolta tramite la forma e il contenuto disturbato della comunicazione. Anche qui, nelle citazioni secche e interrogative tra soggetti sociali molto diversi, prevale l’opposizione fluida tra presenza e assenza, vita e morte, che aggiunge più chiaramente al passato-presente — «Quali ricordi progetti?» — anche un presente volto al futuro — «Vivono ora,/ i viventi?».
Infine, Lontano da me, in realtà penultima sezione nell’ordine dell’opera: vi fanno parte poche poesie ma, in fondo, le altre «lontananze» non possono che prendere spunto e cominciare da un distacco nei confronti della propria persona, accentuato anche dai gravi lutti e dalla malattia che ha scavato beffardamente dentro di lui fino alla morte. Il titolo, che richiama anche quello generale del libro uscito postumo, sembra essere sia una condizione vitale che una rivelazione del proprio destino. Così, ora Ernesto è lontano da noi-altri, da una società bisognosa e da un mondo della cultura sofferente, e la sua stella lucente e visibile, ma mai raggiungibile, ha lasciato cadendo un vuoto enorme, una dispersione incolmabile.
Liriche
E
rnesto Franco (Genova, 11 agosto 1956 – 10 settembre 2024) dal 1998 è stato direttore editoriale di Einaudi; nel 2011 aveva assunto anche la carica di direttore generale della casa editrice torinese. Scrittore e studioso della cultura ispanoamericana con Vite senza fine ha vinto nel 1999 il Premio Viareggio
28 dicembre 2024 (modifica il 28 dicembre 2024 | 14:26)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
28 dicembre 2024 (modifica il 28 dicembre 2024 | 14:26)
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