Sveva Caetani: romana per sempre!
Emigrata bambina in Canada con il padre Leone, esule politico, Sveva Caetani trascorse anni di isolamento e di
solitudine, raggiungendo alte vette del pensiero e dell’arte. Nella serie pittorica Recapitulation, donata all’Alberta Art Foundation di Edmonton, ha descritto il viaggio dell’anima. La sua casa di Vernon in British Columbia, dove è vissuta per oltre settant’anni, è diventata “centro culturale” con un laboratorio d’arte per i giovani. Sveva era l’ultima erede di una famiglia romana: quella dei Caetani, che ha dato papi alla chiesa, statisti all’Italia e uomini di pensiero al mondo.
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Ecco come l’artista riassunse poeticamente la sua vita, il suo lavoro e la sua fede poco prima della morte: Ognuno di noi è solo, alla fine. Prima saluti quelli che ami, poi attraversi la lama dell’amara realtà, affrontando male e debolezza che sono dentro di te. Allora senti la voce di Dio e la voce di Dio ti dice: “Tu non potrai mai conoscere o capire, puoi solo amare”.
Nata a Roma nel 1917, figlia del celebre orientalista Leone Caetani, deputato radical-socialista, “emigrò” in Canada all’età di quattro anni, quando il padre, convinto antifascista, decise di mettere al sicuro nell’ovest del Canada la propria famiglia, composta dalla figlioletta e dalla seconda moglie, Ofelia Fabiani. Il matrimonio con Vittoria Colonna, appartenente alla famiglia dei principi Colonna, che per secoli furono acerrimi nemici dei duchi Caetani, si era rivelato un fallimento. “Mio padre si rese conto che la tendenza al fascismo cresceva in maniera ormai allarmante. Volle per noi una vita nuova, lontana dai turbamenti politici e sociali che vedeva avvicinarsi sempre più” mi confidò Sveva quando la incontrai per la prima volta, alla vigilia degli anni ’90. “Egli conosceva già la British Columbia. Vi si era recato nel 1890 con un amico, per cacciare gli orsi nel Kootenay, una valle parallela all’Okanagan; era rimasto affascinato dalla bellezza del paese. La sua ascendenza era per metà anglosassone: la madre inglese lo aveva reso particolarmente sensibile alla libertà di parola, di pensiero e di espressione. Voleva che io crescessi in un’atmosfera di genuina libertà, in una società proiettata verso il futuro”.
Leone Caetani acquistò a Vernon una casa di campagna con annesso frutteto. Trascorreva le giornate tagliando legna nei grandi boschi, studiando, scrivendo e soprattutto dedicandosi all’educazione della figlioletta. Attraverso una fitta corrispondenza, era in contatto con gli esuli italiani in altri paesi. Ogni tanto, qualche viaggio in Europa: Londra, Parigi…. ricordati dalla figlia come un sogno. Un sogno, per lei, era anche la villa di famiglia sui colli romani. “Mio padre aveva costruito la sua casa sul punto più alto del Gianicolo…. e la mia stanza era sotto il tetto. Ogni mattina, alzandomi dal letto, correvo da una finestra all’altra, ammirando da un lato Rocca di Papa, con gli Appennini innevati sullo sfondo, e dall’altro lato la basilica di San Pietro”. Sveva ricordava anche le visite a Palazzo Caetani, in via delle Botteghe Oscure, dove viveva la nonna paterna e dove c’era un busto marmoreo della bisnonna polacca, dai lineamenti straordinariamente simili ai suoi. Tutto questo un giorno finì bruscamente.
Rimasta orfana a 17 anni del padre adorato, fu costretta a rimanere in casa a disposizione della bellissima madre malata, che mai aveva accettato il radicale cambiamento di vita e si era chiusa in una amara solitudine. Fino al 1960, quando Ofelia morì, Sveva visse venticinque anni di “reclusione”. Unici diversivi consentiti, la lettura e la musica; mentre era scoraggiata la sua maggiore vocazione: la pittura. Autodidatta, coltissima e sensibilissima, Sveva aveva 42 anni quando potè uscire dall’isolamento e dal silenzio. Finalmente potè accedere al mondo artistico conosciuto solo teoricamente. Aveva anche bisogno di guadagnarsi da vivere e accettò di insegnare nella scuola elementare della parrocchia. In breve, la sua fama di educatrice e di comunicatrice la portò alle scuole superiori, dove insegnò arte, letteratura, filosofia, scienze sociali: nonostante priva di diploma, laurea e certificato di abilitazione all’insegnamento, che in seguito volle conseguire presso l’Università di Victoria, dove le fu anche richiesto di salire in cattedra. Riprese a dipingere, dando sfogo alla sua passione repressa. E dopo tante sofferenze e tante rinunce, come per catarsi esplose in lei un canto struggente sul bene e sul male della vita. Concepì una grandiosa opera: Recapitulation, sulla scia della Divina Commedia, immaginandosi nelle vesti del “sommo poeta” ed eleggendo a maestro e guida l’amato genitore.
“Per me non c’era modello migliore da seguire. Ma per dipingere eroi e mascalzoni di un’epoca diversa da quella di Dante: un’inferno non di punizioni ma di malvagità, un purgatorio dove l’espiazione consiste nell’impotenza, un paradiso non di tranquillità ma di conquiste dello spirito. Alla fine di tutto ciò c’è sempre l’amore che supera di gran lunga qualsiasi conoscenza”. In quattordici anni di lavoro appassionato, inventandosi la tecnica dell’acquerello a pennello asciutto, realizzò cinquantasei grandi dipinti che lei, mai sposata a mai madre, definì “figli” e per i quali trovò una casa nell’Alberta Art Foundation di Edmonton, dove sono tuttora a disposizione delle gallerie e delle istituzioni che li vogliano noleggiare ed esporre.
“La serie è intesa come una specie di poema pittorico, comprendente una vita di esperienza, meditazione, amore, dolore e rassegnazione” mi spiegò allora Sveva. Ogni dipinto ha vari livelli simbolici e rappresenta non solo alcuni concetti, ma anche le emozioni che ne derivano. Inizia con un’invocazione a Dio, “potere invisibile”, della cui grandezza e del cui amore ella si sente povero strumento, e di cui intende porsi al servizio. E si conclude con le parole dell’antico saggio persiano: “Tamam Shud”, tutto è compiuto, figurativamente rappresentato da una forma evanescente, scarnificata: lei stessa negli ultimi anni di vita, consumata dal fuoco interiore ma anche dall’artrite, e avviata verso la pace infinita di Dio.
“Se c’è un legame tra il supremamente grande e il supremamente piccolo, l’esercizio di vivere ne costituisce il ponte”, aveva scritto tra l’altro nel suo commento all’opera. Poichè la Caetani, oltre agli straordinari dipinti, ha lasciato anche scritti filosofici e poetici, pubblicati a poco più di un anno dalla morte, avvenuta a Vernon nell’aprile del 1994. Sveva Caetani – indimenticabili gli incontri nella sua casa di Vernon e le lunghe telefonate notturne che ci scambiavamo (“la mia amica italiana” lei mi definiva) – mi confidò anche di sentirsi “romana per sempre”, nonostante la naturalizzazione e gli oltre settant’anni di vita canadese. Eppure è rimasta pressochè sconosciuta agli italiani: quelli del Canada, che l’hanno “scoperta” solo alla vigilia della morte; quelli in Italia, che hanno liquidato con due righe sui giornali la scomparsa “dell’ultima dei Caetani”. Non è tuttavia troppo tardi per raccogliere la sua eredità ideale. Vale anche la pena una visita a Vernon, dove il bel Museo custodisce la Caetani Collection e il Caetani Cultural Centre fa rivivere l’eredità dello straordinario personaggio che è stata e rimane Sveva Caetani.
Anna M. Zampieri Pan