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Terre rare, Meloni chiede a Eni nuovi investimenti sui minerali critici

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L’input di Giorgia Meloni diretto alla prima delle partecipate pubbliche, l’Eni, è arrivato ormai più di sei mesi fa, durante una conversazione con l’amministratore delegato Claudio Descalzi. Oggetto: l’obiettivo ambizioso di sviluppare un piano nazionale di produzione e raffinazione di terre rare e minerali critici, colmando un gap strategico di fronte alle sfide della diversificazione e transizione digitale, ecologica e tecnologica.
Se sul commercio delle terre rare, dei minerali usati per l’industria dei semiconduttori e della catena industriale dell’intelligenza artificiale o per quella della transizione ecologica, Stati Uniti e Cina hanno ingaggiato già da tempo una battaglia commerciale, l’Unione Europea, e con lei anche l’Italia, sono rimaste indietro. Proprio per recuperare il deficit, la premier ha chiesto alla prima azienda partecipata dallo Stato di investire nel settore dei minerali critici. L’Eni ha le competenze, il know how e e professionalità per farlo, anche a livello internazionale. E — anche se il progetto non è ancora passato in consiglio di amministrazione — i primi frutti cominciano a vedersi.

Eni infatti sta valutando di investire nel settore dei minerali critici (come litio e grafite) in Canada, tramite accordi con start up dotate di tecnologie innovative per la raffinazione e il riciclo di questi minerali. E sta considerando anche opportunità analoghe in alcune aree dell’America Latina, anche con un accordo con imprese dell’Argentina, mentre al momento non ha individuato opportunità avanzate nel Continente africano.

Tutto questo avviene in un contesto di fortissima attualità del dossier: pochi giorni fa i leader europei e africani hanno siglato in Angola con l’Unione Africana un partenariato «unico e strategico», impegnandosi a sviluppare la collaborazione sui minerali strategici. Negli ultimi anni l’Africa si è affermata come un nuovo spazio di competizione tra Stati Uniti e Cina, in particolare per l’accesso ai minerali critici. Anche la Russia si è imposta come partner privilegiato per diversi Paesi africani.

L’Unione europea, sulla scia del suo forte sostegno al primo vertice del G20 organizzato in Africa a Johannesburg, si sta sforzando di offrire un’alternativa basata su una «ambizione reciproca». Nella dichiarazione finale adottata, i due blocchi intendono «migliorare la capacità delle industrie locali di partecipare ai mercati regionali e globali» e «diversificare e rendere più sicure le catene di approvvigionamento globali, in particolare nel settore dei minerali strategici e critici». «L’Africa è ricca di risorse naturali. Risorse che sono essenziali per la transizione energetica e tecnologica», ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, nel suo discorso di chiusura del vertice in Angola.

E ovviamente gli sforzi della Ue, sono complementari, e non alternativi, a quelli del nostro governo. Su piani diversi, con diversi strumenti e risorse, è tutto il Continente che cerca di recuperare un deficit. Non per nulla un accordo analogo l’Unione Europea lo ha siglato in Sudafrica, a margine del G20, con un memorandum d’intesa sulle materie prime strategiche. Si tratta del quarto partenariato di questo tipo firmato tra la Ue e un Paese africano, dopo Namibia, Repubblica Democratica del Congo e Zambia. Obiettivo europeo, diversificare l’approvvigionamento di materie prime, essenziali per l’industria e le nuove tecnologie.

La partnership si aggiunge ai quasi 12 miliardi di euro di investimenti della Ue in Sudafrica annunciati a ottobre, in particolare attraverso il programma «Global gateway», una risposta alla «Belt and Road initiative» cinese. La Ue ha definito 34 materie prime strategiche, tra cui metalli del gruppo del platino e manganese, di cui il Sudafrica possiede abbondanti riserve.


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1 dicembre 2025

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