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Partita di basket giovanile finita 210 a 3, una sconfitta umiliante?

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Duecentodieci a tre. Non serve conoscere la pallacanestro, basta avere la terza elementare per capire che parliamo di un risultato numericamente pazzesco. La vittoria del Casale sul Sile sul Mogliano, campionato under 17, una partitella giovanile tra squadre di paesi confinanti, è diventata un caso. L’opinione pubblica si sta dividendo: in campo sono entrati anche i genitori e gli educatori, squadre temibili e rissose. Quando nello sport una sconfitta diventa umiliante? È giusto fermarsi prima per non ferire oltremodo l’avversario a terra? Sono già tutti schierati: «Vergogna, questi ragazzi smetteranno di giocare per colpa vostra»; «Ma quali cuccioli, sono quasi maggiorenni! Dopo i voti a scuola cancelliamo anche i risultati sportivi?». La Federazione, anticipando che nessuna irregolarità è stata commessa, ha annunciato che convocherà le due società trevigiane per parlare dell’accaduto. Un caso nel caso.

I dettagli del gioco

Come sempre ci sono le ragioni degli uni e degli altri. A chi conosce il basket ricordiamo alcuni dettagli: i punti fatti a Casale non ci stanno in un referto di gioco, in quella palestra un arbitro e un giudice di tavolo non sapevano più dove scrivere. Mai successo. Chi vince così deve cominciare a giocare negli spogliatoi, partire con un mandato di furore agonistico contro avversari che si presentano alla partita senza averne mai vinta una. Tradotto significa pressare a tutto campo dal primo minuto, schierare i migliori fino alla fine, impedire agli avversari di respirare anche sul cento a zero. Ogni secondo vissuto come l’ultimo al solo scopo di ottenere scarto record e foto ricordo di squadra esultante con il cartello 210-3: una bomba per i social.

Il fallimento educativo

A chi si sta indignando ricordiamo anche le ragioni degli altri. Trent’anni fa, quando nei palazzetti di serie A si entrava due o tre ore prima per regolare l’afflusso, quasi sempre c’era una partitella giovanile a intrattenere il pubblico. Al Taliercio di Mestre, ad esempio, le squadre composte da ragazzini che sognavano la maglia della Superga, complice un settore giovanile di prim’ordine, collezionavano risultati così tutte le domeniche. Certo faceva un certo che vedere cagnolini ringhiosi assaltare gattini intimiditi da un palazzetto grande trenta volte la palestra in cui si allenavano. I cagnolini avevano dieci o dodici anni e alcuni di loro in serie A ci sono arrivati davvero, compreso l’allenatore in giacca e cravatta che si arrabbiava se sul centosessanta a venti sbagliavano un passaggio. Vedi com’è la vita, vedi chi premia. Sempre pensando alla logica che muove gli sportivi incalliti, vien da chiedersi se non è più umiliante proteggere l’avversario da un brutto risultato. O comunque se non è più educativo sperimentare il fallimento in un ambiente ovattato e non definitivo come la partitella. In fondo non è successo nulla di grave, solo tanti canestri a pochi.

Lo spirito sportivo

Probabile che ciascuno di noi sia rimasto della sua idea dopo aver letto queste poche righe. Dipende da come si affronta lo sport, dallo spirito che ti guida. Forse la soluzione è non mischiare gruppi agli antipodi, agonisti incalliti e amatori, ovvero trovare alla propria squadra la giusta dimensione. Anche se nei paesi, dove dirigenti volontari fanno già i miracoli, non sempre è possibile.


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2 dicembre 2025

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