
«Nel corso della mia esistenza sono sfuggito per un pelo alla collera di un trafficante d’armi ad Amburgo, sono stato mitragliato da un MiG durante la guerra civile nigeriana e sono atterrato in Guinea-Bissau durante un colpo di Stato. Sono stato arrestato dalla Stasi e ospitato dagli israeliani, l’Ira mi ha spinto a un rapido trasferimento dall’Irlanda all’Inghilterra, mentre un’affascinante agente della polizia segreta cecoslovacca…». La vita da outsider di Frederick Forsyth (era nato il 25 agosto 1938 a Ashford, graziosa piccola cittadina del Kent, è scomparso il 9 giugno 2025) si è chiusa dopo anni di meritata pensione – nel 2019 scelse il ritiro quando la moglie gli proibì di continuare con i viaggi nelle zone di guerra in giro per il mondo, per documentarsi – e adesso la letteratura inglese dovrebbe porsi il problema che ha glissato così elegantemente nel dicembre 2020, quando morì John le Carré collega e amico di Forsyth: ha ancora senso conservare i vecchi tradizionali ghetti della «letteratura di genere», o sarebbe forse meglio abbatterli? Vendere moltissime copie – cioè essere amati dal pubblico – significa scrivere libri di qualità inferiore? Perché i 70 milioni di libri in 30 diverse lingue venduti da Forsyth hanno rappresentato, paradossalmente, la sua ricchezza (che apprezzò senza complessi: era un bon vivant, generoso con amici e familiari) ma la sua condanna, in patria, al ruolo di scrittore se non proprio di serie B almeno non di serie A.
Appare però bizzarro negare lo status di maestro a un autore la cui bibliografia (Il giorno dello sciacallo, I mastini della guerra, Dossier Odessa, Il pugno di Dio, Il quarto protocollo, l’autobiografia ricca di brio e humour L’outsider) contiene quello che innegabilmente è uno dei grandi libri della nostra epoca, Il giorno dello sciacallo appunto, e una serie di solidissimi romanzi storici e/o di spionaggio che pare offensivo relegare a narrativa da aeroporto o da stazione ferroviaria. Il mondo lo conobbe nel 1971 come giovane esordiente, ex pilota della Raf, ex inviato di guerra in Africa per la Bbc, con la macchina per scrivere magica dalla quale era uscito in soli trentuno giorni Il giorno dello sciacallo (Mondadori, come tutto Forsyth: ebbe due versioni cinematografiche, Il giorno dello sciacallo nel 1973 e The Jackal nel 1997) su un tentativo di assassinare Charles de Gaulle. Quante lezioni, già al debutto: il romanzo venne inizialmente rifiutato dagli editori, la prima tiratura fu ridicola (adesso è un oggetto da collezione per bibliofili), le vendite partirono lentamente prima della esplosione dovuta al vecchio caro passaparola tra i lettori. Forsyth, che prendeva serissimamente il lavoro ma molto poco seriamente sé stesso, passò la carriera a dare lezioni.
Anche ai colleghi (il suo stile è tuttora imitatissimo): se un personaggio, per esempio, si procura un passaporto falso, lo fa usando la procedura ingegnosa che Forsyth descrive minuziosamente, la stessa che usavano i servizi britannici e che lui svelò al mondo. Quella volta si attirò le ire del Mi6, nel quale ebbe per tutta la vita contatti ottimi e abbondanti anche a altissimi livelli. Ammise soltanto da vecchio di aver lavorato per i servizi in Africa: ma come «informatore», non pagato, disse lasciando invece in molti osservatori il dubbio che fosse, come David Cornwell / John le Carré prima di lui, un agente a tutti gli effetti. Da quell’esordio fulminante in poi Forsyth ha usato la cornice dello spionaggio per raccontare storie, a pieno titolo: avvincenti, documentatissime, ambientate in un «oggi» mai banale ma assolutamente riconoscibile (senza Forsyth, tra l’altro, non avremmo avuto Tom Clancy — un Forsyth americano con in più la celebre fissazione per gli armamenti — e con lui tanti altri grandi).
Dal 1971 sono arrivati dopo di lui alcuni grandi (come per esempio Lee Child) ma non c’è stato un altro Forsyth: lo stile descrittivo, paratattico, per nulla incline alla poesia o alla riflessione, dettagliatissimo perché creava trame con la precisione dell’orologiaio. Il suo segreto? La documentazione in prima persona. I viaggi nelle zone calde – non smise mai di fare l’inviato di guerra, in un certo senso – e poi il ritorno a casa, dalla moglie e dai suoi amati cani Jack Russell, nel suo studio luminoso e ampio e pieno di libri all’inverosimile (fu lettore vorace e onnivoro), la macchina per scrivere elettrica giapponese comprata a Tokyo decenni fa quand’era alta tecnologia e mai più abbandonata. La caccia ai criminali nazisti sfuggiti a Norimberga (Dossier Odessa), i mercenari in Africa e l’oscuro business dei giacimenti di platino (I mastini della guerra), i supercannoni di Saddam Hussein (Il pugno di Dio), i piani del Cremlino per infiltrare i partiti occidentali (Il quarto protocollo: trama più complessa della sua carriera, che semplificò di molto nella sceneggiatura dell’adattamento cinematografico con Michael Caine e Pierce Brosnan), la guerra in Bosnia (Il vendicatore), gli attentati di Al Qaeda (L’afghano) fino all’ultimo romanzo nel 2019, La volpe, sugli hacker. Nelle interviste era solito, con bonomia, attribuire il suo successo «a tre cose: fortuna, fortuna e fortuna», ma trattavasi di inglesissima autoironia: la realtà è che attraverso 48 anni di lavoro, il romanziere Forsyth ebbe sempre l’assistenza del reporter di guerra Forsyth, e dell’analista geopolitico con lo stesso nome.
Fu in questo senso autore uno e trino, e per questo non fece mai scorgere, neanche da vecchio, ai milioni di lettori sparsi per il globo, momenti di sciatteria. La scrittura restò sempre precisissima, i riferimenti all’attualità o alla storia estremamente pertinenti. Dalla bella villa in Costa Azzurra (amava i paradossi quanto il Puligny- Montrachet) si espresse da subito, con veemenza, a favore di Brexit (politicamente fu Conservatore con la C maiuscola, thatcheriano di ferro che la chiamava amorevolmente «Maggie»): un piccolo contrappasso fece sì che il destino trovasse ai due amatissimi figli maschi mogli straniere, una polacca e una svedese. A nulla valse il regalo generoso di due belle case inglesi: i figli, con mogli e nipotini, andarono a vivere all’estero lasciandolo – come ogni nonno che si rispetti – desideroso di vederli più spesso e non soltanto via FaceTime (se ne lamentò con garbo e fermezza sulle colonne del Daily Express dove tenne per vent’anni una seguitissima rubrica). Lasciò anche il ruolo di columnist nel 2023, quattro anni dopo il ritiro dalla fiction. Allora «la Lettura» scrisse che «al termine di una carriera e di una bibliografia come quella di Forsyth si puòsoltanto dire grazie»: pare giusto ripeterlo anche oggi.
9 giugno 2025 (modifica il 9 giugno 2025 | 19:33)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
9 giugno 2025 (modifica il 9 giugno 2025 | 19:33)
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