Morto Franco Ferrarotti, la sociologia come passione

di CARLO BORDONI Scomparso a 98 anni lo studioso fondatore di riviste e corsi di laurea

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Se esistono dei primati nella sociologia italiana, Franco Ferrarotti , scomparso all’età di 98 anni, li ha conquistati tutti in pieno: più giovane professore ordinario di Sociologia alla Sapienza di Roma, quale vincitore nel 1961 della prima e (allora) unica cattedra di questa disciplina, fino a quel momento negletta per effetto dell’anatema crociano che l’aveva definita «inferma scienza». Ma anche fondatore di riviste e corsi di laurea (come quello in Sociologia dell’Università di Trento), deputato, diplomatico, traduttore, direttore editoriale e di ricerca, nel corso di una lunga e incessante attività che è stata giustamente definita poliedrica, per l’insaziabile varietà degli interessi e degli aspetti che ha toccato.

Di famiglia contadina, era nato a Palazzolo Vercellese il 7 aprile 1926 e aveva mostrato la sua indole battagliera fin dagli studi universitari a Torino, dove aveva studiato filosofia col professor Nicola Abbagnano. «Ero un ragazzo di campagna che va in città. — scrisse di sé — A ripensarci adesso mi faccio quasi pena. Avevo poca salute ma, come tutti i sopravvissuti, non mi mancava il coraggio né mi difettava l’ardire».

A Torino si era laureato a pieni voti nel 1949, con una tesi insolita e «divergente» rispetto alla rigida prassi di quegli anni e per questo rifiutata dal suo relatore, Augusto Guzzo, subito sostituito da Abbagnano, più aperto alle scienze umane: con lui discute del pensiero sociologico di Thorstein Veblen, autore di cui aveva tradotto La teoria della classe agiata per Einaudi, su invito di Cesare Pavese.

Insolita, trasversale, totalmente insofferente alle regole è stata tutta la sua carriera, dalla precoce esperienza bellica come giovane partigiano sulle Langhe, a collaboratore di Adriano Olivetti nell’impresa di Comunità; da studioso appassionato e sempre alieno alle controversie accademiche, a deputato nella terza legislatura, senza tessere di partito. Ma soprattutto viaggiatore.

In quasi mezzo secolo di nostre frequentazioni, per lo più epistolari, non una volta che Ferrarotti non fosse in partenza o in arrivo da qualche viaggio. Non aveva mai smesso da quando, appena laureato, si era imbarcato su una nave per l’America. Non come emigrante, al pari di molti della sua terra, ma come osservatore. Già sociologo nell’animo, voleva scoprire, testimoniare di persona e comprendere la realtà sociale, e per farlo bisognava uscire dagli uffici, dalle stanze foderate di libri, e andare sul posto.

Viaggiare e scrivere (con qualche concessione collaterale, tra cui la fotografia, di cui sono testimonianza le copertine della rivista «La Critica Sociologica») sono state le passioni della sua vita, dal primo libro del 1951,
Premesse al sindacalismo autonomo (Comunità)
, al recente Un greco in via Po (Edizioni Dehoniane) del 2017, dedicato a Nicola Abbagnano, assieme agli altri della «tetralogia dell’amicizia» (Adriano Olivetti, Cesare Pavese, Felice Balbo). Un’ottantina di libri e un numero imprecisato di articoli.

Dopo i primi tentativi degli anni Quaranta di pubblicare riviste, «Progredi» e «La rivoluzione umana: quindicinale della generazione nuova», Ferrarotti progetta e fonda nel 1951 i «Quaderni di Sociologia», rifacendosi ai «Cahiers» di Émile Durkheim, con l’aiuto della piccola casa editrice di Marian Taylor. Iniziativa lasciata presto al suo proficuo destino (sarà diretta da Luciano Gallino), preferendovi l’esperienza americana, malgrado l’opinione contraria di Olivetti e degli amici torinesi. Invece la successiva rivista, totalmente sua fin dagli inizi (1967) e ancora in corso di pubblicazione, è «La Critica Sociologica».

«Ho sempre avuto dentro di me l’esigenza di una rivista – ammette Ferrarotti in Un greco in via Po – di poter parlare alle persone conosciute ma anche, e più ancora, a quelle sconosciute attraverso un organo di stampa periodico, di cui fossi responsabile». «La Critica Sociologica» si è prestata perfettamente allo scopo, non solo pubblicando lavori di grande rigore scientifico, ma permettendogli un continuo dialogo in pubblico, intervenendo sui problemi di attualità e mantenendo vivo quello spirito critico che ha sempre contraddistinto il suo fondatore.

Quella di Ferrarotti è una sociologia qualitativa che rifugge dalla freddezza statistica e dalle indagini demografiche, come pure dall’aridità accademica degli studi specialistici rivolti agli addetti ai lavori. Ma anche dall’utilizzo politico delle ricerche, dalle commesse della grande industria e dei mercati. Memore dell’insegnamento di Marx Weber, secondo il quale la sociologia non deve esprimere giudizi di valore per non compromettere la sua obiettività, Ferrarotti si è sempre dimostrato acuto osservatore, ma non per questo meno critico. E un po’ weberiano lo è sempre stato, come dimostra uno dei suoi studi più noti anche a livello internazionale, Max Weber e il destino della ragione (Laterza, 1965), dove tratta di razionalità, burocrazia e religione, tema quest’ultimo a cui ha dedicato molti lavori (Il paradosso del sacro, Laterza, 1983; Una teologia per atei, Laterza, 1984; Sacro e religioso. Dalla religione dissacrante al sacro fatto in casa, (Di Renzo, 1997).

L’imprinting originale, quello che ha segnato per sempre la cifra critica di Ferrarotti, rimane comunque Thorstein Veblen: la passione giovanile, a metà tra l’aspirazione anarchica e il riscatto sociale, espressione dell’amore per gli Stati Uniti, terra di grandi ideali di libertà agli occhi di un giovane uscito dal fascismo e, insieme, critica a una nazione che, attraverso il consumismo vistoso della sua «classe agiata», perde di vista l’obiettivo di realizzare l’utopia moderna dell’uguaglianza sociale.

A lasciare una testimonianza fondamentale restano il suo insegnamento, di cui è stato maestro indiscusso, e i testi più significativi, tra cui La sociologia. Storia, concetti, metodi (Eri, 1961); il Trattato di sociologia (Utet, 1968), La società come problema e come progetto (Mondadori, 1979); L’ultima lezione. Critica della sociologia contemporanea (Laterza, 1999). Senza dimenticare Roma da capitale a periferia (Laterza, 1970), dal vago sapore profetico.

13 novembre 2024 (modifica il 13 novembre 2024 | 19:10)

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