
Ci sono cose che nessuno usa più, e quando capita di usarle, ci stupiamo della loro passata funzione e del loro impatto nella nostra vita. Una di queste è sicuramente il dizionario, che elargisce precisazioni asciutte, didascaliche, estremamente chiare, formulate con lo scopo di non lasciare dubbi di nessun tipo in chi lo consulta, provando a definire anche concetti di cui si parla dalla notte dei tempi, come l’amore, i sentimenti, l’animo umano. Tuttavia, vien da sé che queste definizioni non spiegano poi granché, se si considera che di amore si è parlato, si parla, e si parlerà per sempre, a riprova che nessun dizionario sarà mai in grado di definire, mettere confini universalmente condivisi all’amore. Questa è una prima, acerba, riflessione che si compie già dopo aver letto poche pagine del nuovo libro di Alfonso Signorini — già giornalista, conduttore televisivo e radiofonico e direttore teatrale — Amami quanto io t’amo, pubblicato da Mondadori e in libreria da oggi.
Signorini, che ha all’attivo tantissimi testi che spaziano tra le biografie e le ricostruzioni storiche, ci consegna un romanzo che non nasconde il suo intento: parlare d’amore. Per farlo, attinge molto alla sua vita, a cominciare dalla sua grande passione e conoscenza per l’opera lirica, che lo hanno portato a dirigere numerosi spettacoli di grande successo. Una passione forte, ben radicata nell’autore, a tal punto da voler dedicare il titolo di questo romanzo a La traviata, dove si parla di un amore che sfida il perbenismo, con molte fatiche, più attuali che mai. Lo sa bene Alvise, il protagonista di questa storia. Figlio minore di una ricca famiglia, ha — sulla carta — tutto quello che si può desiderare: una bella casa, soldi, una famiglia importante, una carriera garantita e tante donne pronte a cadergli ai piedi. Sarà l’incontro con Leonardo, figlio di tutt’altra estrazione sociale a scombussolare un destino che sembrava fin troppo segnato. Il tutto avverrà attraverso tanti avvenimenti, conseguenze di grandi riflessioni, di richieste di consigli a padre Ennio, unica figura di fiducia di Alvise, di dialoghi con i tanti e variegati personaggi che popolano questa storia.
Trama a parte, al lettore viene restituito un testo che non lascia nulla indietro, descrizioni comprese. Ogni luogo è illustrato minuziosamente, scegliendo appositamente alcuni dettagli in grado di evocare — o sublimare — qualcosa di importante, sul quale il lettore non può non soffermarsi, provando una nostalgia che potrebbe anche non essere reale, ma così coinvolgente da non poterla ignorare. Alcuni elementi sono ricorrenti, carichi di simbolismi più o meno nascosti: uno fra tutti le peonie, che oltre a risplendere in copertina, compaiono in più momenti, evidenziando, di volta in volta, qualcosa che il protagonista non ci dice apertamente. Ritorna, quindi, quell’attenzione al dettaglio dell’autore mostrata negli allestimenti scenici delle «sue» opere, e il risultato, oltre che efficace, è estremamente raffinato e ipnotico.
Su questo sfondo ben costruito, si snoda una trama ricca di avvenimenti, personaggi, luoghi, dialoghi, ma proprio come nella migliore tradizione lirica i protagonisti sono più concettuali che carnali: Alvise e Leonardo si prestano a vicenda i costumi di scena, impersonificando, a rotazione, in maniera alternata, coraggio, paura e amore. Non sono soltanto ruoli allegorici, sono tentativi di proporre qualcosa di universalmente rappresentativo, da far impallidire l’obsolteto dizionario e la sua presunzione, le opere liriche stesse, i testi epici, le sculture e qualsiasi altro stratagemma sperimentato dall’uomo per dare un senso a ciò che siamo e a quello che proviamo. L’amore oggi è diverso, eppure è sempre lo stesso: le azioni di Alvise sono spinte all’estremo, talmente all’estremo da risultare lontane da noi, da questa società mordi e fuggi, dove gli amori durano il tempo di una visualizzazione su internet, e dove si scelgono i partner come una volta si sceglievano i vestiti dai cataloghi per corrispondenza; ma anche noi cerchiamo qualcuno che ci ami come noi amiamo, attaccandoci al titolo che — pagina dopo pagina — diventa estremamente significativo.
Per questo motivo non si può non provare invidia per Alvise, per il suo modo di amare, per come arriva a questa consapevolezza, a come ci cresce assieme. L’Alvise che conosciamo è un bambino che ama i biscotti, e l’Alvise che salutiamo con l’ultima pagina è un essere adulto completamente diverso: passa sul serio tutta la vita a cercare di capire quale sia la cosa giusta, e per realizzarla sarà sul serio pronto a dare tutto se stesso, in maniera dapprima concreta e poi allegorica, incarnando quindi doppiamente l’eroe romantico, in un dualismo tra azioni e intenzioni, tra certezze e tentativi, tra coraggio e paura che portano in un’unica direzione, quella dell’amore, inteso però come concetto che va oltre quanto finora — in qualsiasi modo possibile — rappresentato dall’uomo.
Così come non si può non provare invidia per Leonardo, che si trova investito da questo amore, che maneggia come maneggia la carne che taglia ogni mattina nella macelleria dove lavora: disossandolo, sezionandolo, scegliendo cosa tenere e cosa scartare, seppur con tanti dubbi e tormenti. Perché per amare bisogna essere coraggiosi, che — sempre secondo il dizionario — non vuol dire vivere senza paura, ma saperla padroneggiare. Ma i sentimenti non sono carne da comprare un tanto al chilo, e se Alvise alla fine riesce a conquistare coraggio, Leonardo non riesce a togliersi di dosso il costume della paura, mostrandoci, tuttavia, due caratteristiche riconducibili all’amore.
La vita non perdona le verità ignorate, dice qualcuno ad Alvise a un certo punto della storia: lui non le ignora, Leonardo forse sì. Entrambi saranno schiacciati dalle scelte: quelle che dovranno compiere e quelle che subiranno, ma importano poco ai fini della narrazione. Che oltre a essere quello di raccontarci una storia, di parlare d’amore, di farci riflettere emozionandoci, di farci indossare anche a noi i costumi della paura e del coraggio, ha come obiettivo mostrarci l’ultimo eroe romantico da invidiare: non chi per amore muore, ma chi pensa che sia ancora possibile farlo.
25 novembre 2025 (modifica il 25 novembre 2025 | 12:59)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
25 novembre 2025 (modifica il 25 novembre 2025 | 12:59)
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