
Dopo quasi quattro anni di attività scientifica, tra il 2022–2024, gli scienziati di Life Conceptu Maris hanno raccolto oltre 6.200 osservazioni dirette e quasi 500 campioni di dna ambientale. Questi dati, integrati con le osservazioni raccolte a partire dal 2007, hanno permesso di delineare un quadro dettagliato sulla distribuzione delle principali specie del Mediterraneo e confermare la straordinaria biodiversità del Mare Nostrum. In particolare, su un totale di 4.150 osservazioni di cetacei, le stenelle striate risultano le più frequenti, con 1.869 avvistamenti, seguite dalla balenottera comune (1.140) e dal tursiope, il tipico delfino costiero (345). Più localizzato il delfino comune (121). Tra le specie che si immergono in profondità risultano ben documentati lo zifio (116) e il capodoglio (108), mentre globicefalo (60) e grampo (49) si confermano più difficili da registrare. Le tartarughe marine mostrano un trend positivo, con 2.198 segnalazioni e un progressivo spostamento verso ovest e verso nord. Per tutte le specie considerate sono stati elaborati modelli di distribuzione che permettono di prevedere dove cetacei e tartarughe marine possono trovarsi con maggiore probabilità. Il progetto si è, anche, avvalso di una metodologia all’avanguardia: l’utilizzo dei traghetti commerciali come vere e proprie stazioni di ricerca.
Le aree chiave per cetacei e tartarughe marine
Una prima analisi ha confermato l’importanza di alcune aree chiave tra le quali spicca il Santuario Pelagos, tra Corsica e Liguria, dove si concentra circa il 50% delle osservazioni complessive di cetacei, con presenze rilevanti di balenottera comune, capodoglio, zifio, stenella striata. Di estrema importanza risulta essere il Mare di Alborán, a est dello Stretto di Gibilterra, che ospita anche specie più difficilmente osservabili come grampi, zifi e globicefali e una consistente presenza di giovani individui di tutte le specie, incluso il delfino comune. Altre zone strategiche comprendono il Corridoio Spagnolo di Migrazione dei Cetacei tra le Baleari e la costa iberica, l’Adriatico-Ionio e il Tirreno centrale e meridionale, che mostra una crescente presenza di tartarughe comuni.
Tendenze incoraggianti
L’analisi dei dati raccolti mostra buone prospettive per diverse specie del Mediterraneo occidentale e centrale. Ad esempio lo zifio, formidabile apneista capace di raggiungere i 3.000 metri di profondità, è una delle specie più difficili da osservare. Anche se molto localizzato, soprattutto nelle aree con canyon sottomarini e acque profonde, negli ultimi cinque anni è diventato una presenza sempre più regolare nel Tirreno e nel Mar Ligure. Il capodoglio, pur caratterizzato da forti variazioni nel corso degli anni, mostra un quadro di stabilità complessiva, con concentrazioni ricorrenti nelle aree più ricche di canyon sottomarini, come il Tirreno e il Mare di Alborán. Per la balenottera comune, le serie storiche rivelano fluttuazioni cicliche, con anni di avvistamenti regolari alternati a periodi di minore presenza. Tuttavia, l’andamento recente è positivo, con un picco di osservazioni nell’estate 2023, che conferma l’importanza del Santuario Pelagos come area chiave per l’alimentazione e la riproduzione di questo grande cetaceo. Dopo un calo probabilmente in seguito a una epidemia di morbillivirus del 2016, la stenella striata mostra un chiaro recupero, con gruppi più numerosi e un aumento del numero medio di individui per avvistamento.
Dall’osservazione all’azione di tutela
Le informazioni sono oggi raccolte in un ampio database condiviso a livello internazionale, che rappresenta una risorsa strategica per sviluppare misure di tutela più efficaci delle specie pelagiche del Mediterraneo. Questi risultati alimentano un Decision Support System (DSS), uno strumento operativo che integra dati biologici e ambientali per supportare le autorità pubbliche nella pianificazione delle politiche di conservazione e gestione sostenibile.
L’analisi congiunta dei dati ha già permesso di individuare le aree più esposte ai rischi per la fauna marina. Tra questi figura il traffico navale, particolarmente intenso nel Santuario Pelagos, nel Mar di Alborán, in Adriatico e nelle acque intorno alle Isole Baleari. Per questo motivo, lavorare insieme alle compagnie di navigazione è essenziale perché l’aumento delle velocità delle navi commerciali e turistiche accresce il rischio di collisioni, e i risultati del progetto mostrano che neppure le aree protette garantiscono oggi una piena sicurezza. Anche il marine litter, i rifiuti galleggianti, rappresenta una minaccia crescente, soprattutto in primavera ed estate tende a concentrarsi nel Mar Adriatico, Tirreno e Ligure, spesso in coincidenza con le zone di maggiore presenza di tartarughe e cetacei.
Per questo, le aree più ricche di vita devono diventare una priorità assoluta per la conservazione, attraverso regole condivise tra Stati e operatori del settore marittimo.
Il progetto
Sono 11 i partner a livello internazionale (Area Marina Protetta “Capo Carbonara”, CIMA Research Foundation, CMCC Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, ÉcoOcéan Institut, Stazione Zoologica Anton Dohrn, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Università degli Studi di Palermo, Universitat de València, Università degli Studi di Torino), cui si aggiungono una trentina di enti, autorità nazionali e locali, compagnie di navigazione e organizzazioni non governative. A coordinarli Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, supportata da Triton Research (per le attività di management e comunicazione).
27 novembre 2025 ( modifica il 27 novembre 2025 | 12:57)
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