La strage nazista di Marzabotto: il volume in edicola con il «Corriere»

di ANTONIO CARIOTI A ottant’anni dall’eccidio esce con il quotidiano un saggio di Marco De Paolis e Paolo Pezzino. Nel rastrellamento di Monte Sole vennero uccise 770 persone innocenti: un’azione pianificata ed eseguita dai «soldati politici» delle Waffen SS

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Il libro che esce in edicola con il «Corriere» martedì primo ottobre ha una sorta di doppio titolo, Monte Sole Marzabotto. Ci spiega la ragione lo storico Paolo Pezzino, che con il magistrato militare Marco De Paolis firma il volume sulla più vasta strage compiuta dai tedeschi in territorio italiano: «L’azione dei nazisti comincia il 29 settembre 1944 e si svolge sull’altopiano di Monte Sole, situato nell’Appennino bolognese tra le valli dei fiumi Reno e Setta. La zona viene isolata da un cordone sanitario e poi si procede allo sterminio della popolazione. Nel centro abitato di Marzabotto invece non accade nulla, ma è in quella località che verrà collocato il sacrario dedicato alle vittime dell’eccidio. Per questo si parla comunemente di strage di Marzabotto, mentre è più corretto riferirla a Monte Sole. È un caso di prevalenza della memoria pubblica sulla realtà dei fatti».

Pezzino sottolinea che non si tratta di una rappresaglia, ma di un massacro pianificato a freddo: «La brigata partigiana Stella Rossa, operante in quell’area, non aveva svolto ormai da tempo azioni militari di rilievo. Ci si aspettava tra l’altro che arrivassero presto gli Alleati, visto che la linea del fronte era vicina: dall’altopiano con un cannocchiale si potevano vedere gli accampamenti della 5ª armata americana. Ma proprio per questo i tedeschi, che non tolleravano una presenza ostile alle loro spalle, decidono di avviare un’operazione di ripulitura delle retrovie, che significa in realtà fare terra bruciata, con lo sterminio dei civili sospettati di aiutare i partigiani, per eliminare il pericolo della guerriglia».

Di questo compito s’incaricano i militari della 16ª divisione delle Waffen SS: «Lo storico Carlo Gentile — nota Pezzino — li ha definiti “soldati politici”. Il corpo ufficiali era altamente nazificato: alcuni avevano operato nei campi di sterminio, altri sul fronte orientale, dove la guerra fu particolarmente atroce. I soldati erano in media giovanissimi, ragazzi di 18-19 anni assuefatti alla violenza cieca e sottoposti a una disciplina ferrea, del tutto insensibili alla sorte dei civili, compresi vecchi, donne e bambini. Già un reparto di quella divisione aveva compiuto la strage di Sant’Anna di Stazzema, in agosto. Inoltre quando le Waffen SS avevano lasciato Massa, avevano svuotato il carcere e massacrato lungo il fiume Frigido i detenuti, tutti in prigione per reati comuni».

Il bilancio dell’operazione di Monte Sole è terribile: «Inizialmente — precisa Pezzino — si calcolò una somma di 1.830 vittime, ma era esagerata perché comprendeva tutti i morti nella zona per cause di guerra, inclusi alcuni fascisti. Una ricerca più accurata ha condotto a fissare una cifra di 770 persone trucidate dal 29 settembre al 5 ottobre 1944, in gran parte anziani, donne e bambini. I partigiani riescono a sganciarsi e ne cadono solo una ventina. Più in generale molti maschi adulti riescono a mettersi in salvo quando hanno sentore del rastrellamento nazista, mentre il resto della popolazione riteneva di non avere nulla da temere. Purtroppo si sbagliavano».

Quali responsabilità hanno nell’accaduto i fascisti della Repubblica sociale? «Sapevano dell’operazione e alcuni avvertono i loro amici di allontanarsi dalla zona. I militari della Rsi non penetrano nell’altopiano, ma partecipano alla creazione del cordone che lo isola. Mussolini in quella fase protesta per il comportamento degli occupanti tedeschi verso i civili, ma non cita Monte Sole, bensì soltanto episodi minori in cui ci sono state vittime anche tra i fascisti. Quando a Bologna si diffonde la voce dell’eccidio, i nazisti avviano un’indagine fasulla, che cataloga i fatti come una normale operazione militare. E Mussolini viene redarguito: lo si invita a non prestare ascolto a notizie infondate».

Nel dopoguerra viene processato il comandante del reparto responsabile della strage, l’austriaco Walter Reder: «La magistratura militare di Bologna svolge un lavoro accurato, raccogliendo una gran messe di testimonianze. Il tribunale riconosce la legittimità della lotta partigiana e stabilisce che Reder non può farsi scudo degli ordini ricevuti, quindi lo condanna all’ergastolo. È un passo avanti rispetto al giudizio di primo grado su Herbert Kappler, che per la strage delle Fosse Ardeatine lo condanna solo per i cinque ostaggi in più fucilati rispetto alla proporzione di dieci uccisi per ogni militare caduto in via Rasella. Inoltre Reder rimane in carcere molti anni, mentre per esempio il comandante della 16 ª divisione Waffen SS, generale Max Simon, viene inizialmente condannato a morte a Padova da un tribunale britannico, ma poi trasferito in Germania e liberato già nel 1954».

Reder viene rilasciato invece nel 1985 su pressione dell’Austria: «Aveva più volte chiesto scusa — ricorda Pezzino — ai parenti delle vittime, ma ben pochi gli avevano concesso il loro perdono. Dopo la liberazione viene accolto in patria quasi come un eroe e si rimangia tutto, dichiara di non avere nulla di cui pentirsi. Va ricordato che l’Austria si era presentata come prima vittima di Adolf Hitler e per questo aveva subito una denazificazione molto blanda. Inoltre in quel Paese, ma anche in Germania, rimaneva il pregiudizio verso il cosiddetto “tradimento” italiano del settembre 1943».

Il caso viene poi riaperto e si arriva nel 2007 a una sentenza del tribunale militare di La Spezia con una decina di condanne. «I giudici di Bologna — spiega Pezzino — avevano ritenuto imputabile solo Reder, in quanto comandante, mentre la nuova sensibilità giuridica induce il procuratore De Paolis a procedere contro chiunque avesse partecipato allo sterminio sul campo. Tra l’altro vengono condannati anche ex militari delle SS che a Bologna erano stati testimoni a discarico di Reder. Si tratta di una giustizia tardiva, che punisce persone ormai molto anziane, ma i loro crimini sono di una tale gravità che non si poteva pensare di cancellarli per via del tempo trascorso. Bisogna aggiungere peraltro che la Germania non solo non li ha estradati in Italia, ma non ha neppure applicato le pene. Cosa che sarebbe stata possibile disponendo gli arresti domiciliari per via dell’età avanzata di quegli ex nazisti».

Il saggio a euro 8,90 esce martedì 1° ottobre e resta in edicola per un mese

Esce martedì primo ottobre in edicola con il «Corriere della Sera» il libro di Marco De Paolis e Paolo Pezzino

Monte Sole Marzabotto

, al prezzo di
e
8,90 più il costo del quotidiano. A ottant’anni dalla strage compiuta dai militari tedeschi delle Waffen SS nella località dell’Appennino tosco-emiliano, in provincia di Bologna, gli autori ricostruiscono la vicenda e i processi celebrati contro i responsabili: Pezzino, già docente dell’Università di Pisa e presidente dell’Istituto storico Ferruccio Parri, rievoca le circostanze dell’eccidio, mentre De Paolis, magistrato militare che ha istruito numerosi procedimenti per crimini di guerra, si occupa degli aspetti giuridici. Il volume, pubblicato dal «Corriere» in collaborazione con la casa editrice Viella, resta in edicola per un mese.

La strage di Marzabotto (ma è più corretto riferirla a Monte Sole) fu il massacro di civili di proporzioni più vaste compiuto dalle forze armate del Terzo Reich in Europa occidentale, dove la guerra, pur sempre atroce, non assunse le caratteristiche di annientamento che ebbe invece nei Paesi slavi come la Polonia, la Jugoslavia e l’Unione Sovietica. Va sottolineato inoltre che l’operazione messa in atto dalle SS al comando di Walter Reder non fu una rappresaglia per qualche azione partigiana, ma un rastrellamento preventivo pianificato a freddo dai tedeschi.

In ricordo di quel crimine di massa si è tenuta domenica 29 settembre una commemorazione ufficiale a Marzabotto, con la partecipazione del capo dello Stato Sergio Mattarella, del presidente della Repubblica federale tedesca Frank-Walter Steinmeier e del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana.

30 settembre 2024 (modifica il 30 settembre 2024 | 20:32)

30 settembre 2024 (modifica il 30 settembre 2024 | 20:32)