
Il governo americano si muove, ormai da settimane, sotto traccia per dare attuazione al «piano in 20 punti» per Gaza. Uno dei passaggi chiave è coinvolgere più Paesi possibile nella formazione della forza militare da schierare nella Striscia, in modo da stabilizzare il cessate il fuoco e spingere l’esercito israeliano a lasciare gran parte del territorio.
In prima battuta il Dipartimento di Stato, guidato da Marco Rubio, e l’inviato Steve Witkoff si sono rivolti ai Paesi del Golfo. Ma uno dopo l’altro, Qatar, Emirati Arabi e, infine, Arabia Saudita si sono sfilati. Nessuno dei leader di questi Stati, pur essendo molto legati a Donald Trump e alla sua famiglia (in particolare al genero Jared Kushner e ai suoi affari) ha accettato un’impresa considerata molto rischiosa politicamente.
A Gaza sono ancora attivi i guerriglieri di Hamas. Quanti? Le stime variano sensibilmente: da diverse migliaia a qualche centinaio. In ogni caso toccherebbe ai soldati della «forza di stabilizzazione» stanare nei tunnel e, soprattutto, disarmare i militanti di Hamas. Ma le nazioni del Golfo non vogliono farsi coinvolgere in un’operazione di polizia che, ritengono, porterebbe un vantaggio agli israeliani, senza alcuna solida contropartita politica per i palestinesi, visto che Benjamin Netanyahu esclude la soluzione dei «due popoli e due Stati».
Così Witkoff e i diplomatici Usa si sono rivolti ad altri governi che già da qualche mese si erano fatti avanti per mettere fine al massacro di civili a Gaza. I colloqui sono particolarmente intensi con tre nazioni: Pakistan, Indonesia, Azerbaigian. A questi si sta aggiungendo il Marocco, finora rimasto ai margini della crisi. Il re Muhammad VI sta cercando di placare le proteste interne guidate soprattutto dai giovani , organizzati in collettivi come «Gen Z 212», che chiedono lavoro, servizi sanitari migliori e un contrasto efficace alla corruzione.
Nello stesso tempo il sovrano marocchino continua a coltivare il rapporto con Donald Trump e, sia pure con maggiore cautela, anche con Israele. Nel 2020 il Marocco ha sottoscritto gli Accordi di Abramo, normalizzando i rapporti economici con Tel Aviv. Inoltre, il 17 novembre scorso, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha dato via libera al piano americano, con l’astensione di Cina e Russia. Da quel momento si sono moltiplicate le manovre per sondare la disponibilità del Marocco. Hanno dato una mano anche i diplomatici europei.
E’ ormai scartata, invece, quella che sembrava la soluzione più efficace: lo schieramento di soldati turchi a Gaza. Com’è noto il presidente Recepp Tayyip Erdogan ha appoggiato negli anni scorsi il movimento di Hamas. Ma proprio per questo, Netanyahu è nettamente contrario a un intervento della Turchia. Lo stesso Trump lo avrebbe detto a Erdogan, il 13 novembre scorso, nel vertice alla Casa Bianca. E il leader turco ha fatto un passo indietro.
2 dicembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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