
Da dove nasce questa idea
Nel 2025 la quota di tonno rosso assegnata alla flotta Italiana è stata di 5,2 mila tonnellate di tonno rosso. Di queste, in base alla suddivisione disposta dal Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, la stragrande maggioranza (quasi l’80%) è stata assegnata alle 19 navi italiane autorizzate alla “circuizione” (3,6 mila tonnellate), le cosiddette “tonnare volanti” che catturano i banchi di tonni aggirandoli con reti lunghe fino a 2 km, e alle due tonnare fisse (415 tonnellate), che ancora operano in Sardegna. Entrambi questi sistemi di pesca catturano i tonni vivi, per poterli trasportare in impianti di ingrasso a Malta o più raramente in Spagna, dove i pesci vengono messi in delle gabbie per tre o quattro mesi per essere ingrassati e poi venduti nei mercati asiatici, in particolare in Giappone, dove il tonno rosso del Mediterraneo è molto richiesto per la preparazione del sushi.
Gli ultimi anni hanno visto però una crisi di questo modello, legata a un calo dei prezzi. “Nel mercato giapponese potrebbe essere stato raggiunto il punto di saturazione,” ha detto Tristan Camilleri, consulente tecnico della federazione dei produttori Maltesi. “Le difficoltà economiche del Giappone, l’aumento del pesce sul mercato… alla fine cade il prezzo,” ha detto Camilleri. Secondo l’esperto maltese, la situazione è destinata a complicarsi ulteriormente, dopo che nei giorni scorsi l’ultima riunione dell’International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (l’ICCAT), l’ente internazionale che assegna le quote di pesca del tonno atlantico, ha previsto per i prossimi tre anni un aumento sensibile delle quote di pesca del tonno rosso atlantico orientale e mediterraneo, da 40 a 48 mila tonnellate, ponendo le basi per un aumento sensibile della produzione in diversi Paesi.
Secondo Coldiretti, l’idea di creare un impianto di ingrasso del tonno rosso in Italia è una risposta a questa crisi, creando un progetto di filiera dedicato alle navi che fanno la grande circuizione. Il tonno prodotto sarebbe destinato direttamente ai mercati italiani ed europei della ristorazione e della grande distribuzione – a cui finora erano venduti soltanto i tonni delle imbarcazioni che pescano con la tecnica del “palangaro” o della piccola pesca costiera.
I dettagli dell’impianto
Del progetto si conoscono al momento soltanto dettagli parziali. Sulla capacità ancora i promotori non si sbilanciano: “È una capacità medio grande,” afferma Borriello, secondo cui l’impianto sarà approvvigionato nella prima fase dall’intero pescato di tre imbarcazioni della società che ha presentato il progetto.
La domanda per mettere le boe di monitoraggio è stata presentata dall’organizzazione di produttori Tonno Rosso D’Italia, di cui fanno parte la società Pappalardo Salvatore Aniello e la Adriafish, collegata allo stesso imprenditore.
Nel 2006 a Cetara era stata avviata una procedura per un simile impianto di ingrasso del tonno rosso, che poi fu abbandonata, anche a causa di una querelle legale con il comune limitrofo di Maiori, preoccupato per l’impatto sulle proprie acque, in un territorio fortemente vocato al turismo e alla balneazione.
Il nuovo progetto di allevamento, secondo il sindaco Della Monica, insiste più o meno nella stessa posizione del precedente: “È spostata più verso la zona di Maiori,” ha detto, “però sempre nelle acque di Cetara. È stata spostata di un miglio, diciamo così, però più o meno quella è la zona.”
L’impatto ambientale
L’impianto di ingrasso dei tonni a Cetara sarebbe il primo operativo in Italia, dopo che negli ultimi anni diversi tentativi di realizzare simili progetti lungo le coste italiane sono naufragati, per le caratteristiche necessarie per questa produzione: servono aree di mare pulite, con le giuste correnti ma poco distanti dalla costa, per evitare le mareggiate. In Italia però questo tipo di aree costiere ha sempre un’elevata vocazione turistica, che mal si concilia con un allevamento intensivo, finendo per creare preoccupazioni e conflitti legati all’impatto ambientale, come successo nel vicino impianto di Marina di Camerota, in Cilento, oggi inattivo.
Anche la storia degli allevamenti negli altri Paesi del Mediterraneo è costellata di problemi legati all’impatto ambientale, in particolare nelle aree a vocazione turistica. A Malta l’ultimo episodio risale ad Agosto 2025, quando una melma oleaginosa prodotta dagli allevamenti ha invaso per alcuni giorni le spiagge di alcune località balneari come Sliema, lungo la costa orientale dell’isola, facendo scappare turisti e bagnanti.
“Il tonno produce continue deiezioni, e le feci molte volte hanno un alto contenuto di olii, che contribuiscono alla creazione delle leghe che si formano nella superficie dell’acqua,” afferma Tristan Camilleri, consulente tecnico della federazione dei produttori maltesi. Secondo Camilleri, le aziende a Malta svolgono un lavoro continuo di rimozione della melma prodotta dagli impianti, che qualche volta può avere delle falle, creando incidenti come quello avvenuto ad Agosto.
L’altro tema legato all’impatto ambientale riguarda l’utilizzo di grandi quantità di pesce selvatico come mangime. Negli impianti di ingrasso del tonno si utilizza pesce congelato come sardine, sgombri e acciughe, con una proporzione che va dai 10 ai 25 kg di pesce selvatico per ogni singolo kg di tonno prodotto.
Secondo Coldiretti, l’impianto di Cetara sarebbe in grado di gestire entrambi i problemi, facendo ricorso a un sistema diverso di alimentazione: “Questa nuova farm prevede un’alimentazione diversa, più snella, più sostenibile, più leggera,” ha detto Borrello. In concreto, il progetto prevede di sostituire il pesce congelato con dei pellet di mangimi, in grado di ridurre la quantità di materie prime necessarie e arginare l’impatto ambientale, facendo ingrassare di meno i tonni e rendendoli più adatti ai gusti del mercato europeo.
Questa tecnologia ad oggi non è mai stata usata con successo in una produzione industriale di ingrasso di tonni adulti, come quella ipotizzata a Cetara. “È molto difficile utilizzarlo. Abbiamo fatto dei tentativi, però il pesce non l’ha mangiato,” ha detto Camilleri rispetto alle esperienze dei produttori di Malta. “Ci sono altri su scala di ricerca che hanno avuto risultati più positivi, ma non c’è esperienza di produzione su scala industriale.”
Non essendoci precedenti, non ci sono neanche studi sull’effettivo impatto ambientale legato a questo tipo di mangimi: “Molto più del pesce surgelato, parte dell’estruso (il mangime in pellet, ndr) rischia di affondare oltre le maglie del fondo vasca e perdersi sotto le gabbie, con il conseguente inquinamento se il posizionamento delle gabbie non rispetta i parametri di distanza dal fondo e circolazione dell’acqua,” ci ha detto Roberto Mamone, consulente esperto di sistemi di acquacoltura.
Nessuna VIA
In ogni caso, il progetto dell’impianto di Cetara è progettato su una superficie inferiore ai 50 mila mq, soglia minima perché gli impianti di piscicoltura -secondo la normativa europea- incorrano nell’obbligo di essere sottoposti a una procedura di Valutazione di Impatto Ambientale.
Pertanto, come ha spiegato Borriello di Coldiretti, l’iter autorizzativo “rimane legato al Comune”, che è l’unico a dover dare via libera, per quanto basandosi su dei pareri anche sul possibile impatto ambientale.
Nei primi anni 2000 Greenpeace Italia si oppose al precedente progetto di impianto di ingrasso del tonno a Cetara. Secondo Alessandro Giannì, Responsabile Relazioni istituzionali e Scientifiche della Ong, l’impianto sollevava dubbi per un problema di ubicazione, perché “era localizzato praticamente all’uscita del porto di Salerno,” per cui “questi animali sarebbero stati sottoposti a un continuo stress, non solo per l’inquinamento, ma anche per il rumore delle imbarcazioni in transito.”
L’associazione sostiene che ancora oggi ci sia un problema di vuoto normativo rispetto agli impatti ambientali di simili impianti. “Esistono delle linee guida” per gli impianti di acquacoltura, ha detto Giannì, “che però sono state emanate non dal Ministero dell’Ambiente, ma dal Ministero delle Politiche Agricole. Non solo, ma quelle linee guida non valgono per gli impianti di tonno,” ha detto.
Il progetto di Cetara non è l’unico in fase di progettazione in Italia, anche se ci risulta essere quello più avanzato. La stessa Greenpeace, solo poche settimane fa, ha denunciato in un report come nel database dell’ICCAT l’Italia abbia dichiarato una produzione nazionale di oltre 8mila tonnellate di tonno rosso in impianti di ingrasso in Italia, mentre la produzione reale oggi risulta pari a zero. Secondo la tabella fornita dall’Italia all’autorità internazionale, vengono dichiarate 7,5 mila tonnellate di tonno prodotte in impianti ubicati nella sede del Ministero dell’Agricoltura, a Roma.
Il Ministero ha risposto all’Ong argomentando che si tratta di impianti attualmente non operativi, la cui presenza nel database “rappresenta parte della capacità autorizzata di ingrasso attribuita all’Italia, che viene redistribuita alle aziende d’ingrasso attive”.
“Sembra che il sistema venga usato dal Ministero per prenotare delle quote future,” ha detto Giannì, che ha scritto alla Commissione Europea per avere chiarimenti sulla vicenda




