L’avvoltoio monaco barcolla come se fosse ubriaco. Il cibo è lì a poche decine di centimetri da lui, ma prima di arrivarci ondeggia alternando il peso sulle zampe e compiendo un incomprensibile percorso a zig zag. Arriva È arrivato dalla Francia, dalle gole del Verdon, come riportato dalla fascetta di identificazione che portava ad una zampa, ma è stato recuperato in Sicilia, dopo essere stato avvistato debilitato su una spiaggia. Al centro di recupero di Messina, dove lo hanno portato per le cure, lo hanno ribattezzato «Zappa». Nel video lo si vede ancheggiare. Ma non è ubriaco e le sue movenze sinuose non sono un omaggio alla rockstar di cui porta il nome. A ridurlo così è stato il «staturnismo», l’avvelenamento da piombo. Che causa disturbi di vario genere negli organismi viventi. E che è in grado di penetrare la barriera cellulare e di causare danni permanenti al cervello, causando in alcuni casi una vera e propria perdita di cognizione.
La stessa che probabilmente ha colpito anche «Attilio», un maschio di aquila reale liberato in natura dopo un periodo di cura e di degenza al centro di recupero per la fauna selvatica di Vanzago, alle porte di Milano, gestito dal Wwf. Anche lui aveva livelli di piombo altissimi nel corpo e probabilmente a causa di quelli, dello stato di debilitazione da essi causato, era precipitato nelle acque della parte italiana del lago di Lugano, quelle del Piccolo mondo antico di Fogazzaro. Fisicamente sembrava essersi ripreso, ma una volta in volo si è ritrovato in una zona presidiata da un altro maschio alfa, che ha reclamato la sua sovranità. Come spesso avviene in natura, il padrone di casa ha lanciato segnali che però Attilio non è stato in grado di comprendere. Non si è allontanato. L’altro è dunque partito all’attacco e lo ha abbattuto. La sua nuova libertà è durata soltanto un giorno.
L’avvelenamento da piombo è un problema molto serio, ma in alcuni ambiti viene ancora sottovalutato. Il principale è quello venatorio. Il piombo è stato ormai rimosso da ogni luogo, oggetto o manufatto da cui poteva essere eliminato. La benzina, tanto per citarne uno: l’eliminazione della sostanza nociva è diventata parte integrante del nome, in italiano («senza piombo») come in inglese («unleaded») e altre lingue. Questo metallo continua tuttavia ad essere utilizzato nelle munizioni da caccia, nonostante le richieste dell’Unione Europea di passare ad altri materiali, come il rame. Soprattutto nelle zone umide, dove la dispersione del piombo crea problemi enormi che si moltiplicano a catena: i pallini che non raggiungono la preda finiscono nel terreno e nell’acqua, dove possono essere ingeriti da altri animali. Oppure restano nelle carcasse degli animali abbattuti e non recuperati, che diventano cibo per altri selvatici, con automatico trasferimento dagli uni agli altri della carne contaminata o degli stessi pallini, in grado di intossicare rapidamente gli organismi che li ospitano. Va da sé che il problema in ultima istanza riguardi anche le persone. Chi consuma carne di selvaggina abbattuta con proiettili al piombo non sfugge al rischio di intossicazione. Ma nonostante le conseguenze siano note, si preferisce ancora tergiversare.
Nasce in questo contesto, dal desiderio di far comprendere i rischi dell’utilizzo di queste munizioni che continuano ad essere pericolose anche quando hanno centrato il loro bersaglio, la mostra «Il veleno dopo lo sparo», inaugurata nei giorni scorsi al Museo di Storia naturale di Milano, dove resterà fino al 1 marzo 2026. Una sequenza di pannelli racconta come ogni anno, nel territorio della sola Unione Europea, circa 150 milioni di uccelli siano potenzialmente esposti a gravi danni a causa dell’utilizzo di queste munizioni. Si calcola poi che siano almeno 2,3 milioni gli esemplari che muoiono per saturnismo. E che almeno 14 mila tonnellate di piombo si disperdano nell’ambiente a causa dell’attività venatoria. Ci resteranno a lungo: Affinché si degradino completamente è necessario attendere anche fino ad un secolo.
«Non è una iniziativa contro la caccia – spiega Giorgio Chiozzi, conservatore della sezione Zoologia del museo, uno dei curatori dell’edizione milanese della mostra, nata due anni fa al Museo di Scienze naturali «Caffi» di Bergamo con la collaborazione della Società italiana di scienze naturali -. È piuttosto un volere diffondere consapevolezza su come una sostanza che per la sua pericolosità è stata eliminata da tanti oggetti che un tempo erano di uso comune, continui ad essere tollerata. Eppure le alternative esistono». La legge, anche in Lombardia, vieta di utilizzare proiettili al piombo per la caccia all’interno delle aree protette e delle aree Natura 2000. E la consente ancora per la caccia al cinghiale. Ma le forze dell’ordine e le guardie forestali hanno adottato da tempo munizioni di diversa composizione, che garantiscono ormai prestazioni non dissimili.
Nel mondo venatorio c’è chi critica le cartucce con pallini di altri materiali, considerandoli meno efficienti ed efficaci e soggetti ad una diversa risposta balistica che rendere più problematico centrare il bersaglio a distanza e di conseguenza abbattere subito l’animale senza causargli sofferenze eccessive. Ma ci sono realtà in cui i proiettili al piombo sono stati sostituiti proprio per volontà degli stessi cacciatori, consapevoli del fatto di essere i primi consumatori degli animali abbattuti. «È il caso della Danimarca – sottolinea Enrico Bassi, ornitologo, coordinatore di diversi progetti di tutela ambientale e dei rapaci e tra gli ideatori della rassegna assieme a Paolo Pantini e Gloria Ramello – dove le associazioni venatorie sono state in prima fila nel chiedere il passaggio alle nuove munizioni». In Italia, invece, si continua a nicchiare. La Regione Lombardia non ha dato seguito alle raccomandazioni sul divieto di uso del piombo nelle zone umide e il nostro Paese è per questo motivo sotto procedura di infrazione Ue.
La mostra – che nel corso di questi anni è stata ospitata in diverse sedi in tutta Italia e che giovedì pomeriggio verrà presentata da una guida di eccezione, l’attore Giovanni Storti, nell’iniziativa «Meglio Storti che a piombo» -, racconta il ciclo del piombo, spiega le sue conseguenze sulla salute di animali e persone e sull’ambiente, le possibili alternative. È stata allestita in un’ala che ospita molti dei 2.600 reperti di rapaci e volatili che fanno parte del patrimonio del museo milanese. Animali in alcuni casi davvero maestosi, spesso già a rischio per altre cause (bracconaggio, riduzione degli habitat), che sono predatori apicali e controllano i cieli, ma che soccombono di fronte a questo nemico invisibile. Uno studio congiunto di Ersaf, Parco nazionale dello Stelvio, Provincia di Sontdio, Izs Lombardia e Emilia Romagna, Cnr-Irsa e Ispra su quattro specie di rapaci – aquila reale, avvoltoio monaco, grifone e gipeto – ha rilevato un’esposizione clinica o subclinica al piombo nel 67% dei 281 esemplari analizzati. Di questi, 53 erano sul territorio lombardo e la percentuale di quelli contaminati è risultata del 73,6%. Il piombo diffuso in natura si diffonde senza limitazioni e arriva dunque anche nelle aree protette.
«L’Organizzazione mondiale della sanità – sottolinea ancora Bassi – ha più volte rimarcato che non esistono soglie sicure di ingestione di residui di piombo. Per questo viene sconsigliata la carne di selvaggina abbattuta con piombo ai bambini sotto i 7 anni, agli anziani, ai fragili che hanno patologie croniche, alle donne in età fertile o in gravidanza». Uno dei pannelli ricorda come già il naturalista Paolo Savi, nel 1786, aveva collegato, pur senza disporre di adeguati supporti scientifici, le morti di germani reali nelle paludi reali all’ingestione di pallini. Oggi che le evidenze scientifiche ci sono, sostengono i curatori della rassegna, appare ancora più forte la contraddizione dell’utilizzo di un materiale di cui è ben nota la tossicità.

«Ogni cartuccia di quelle usate per cacciare i tordi – spiega ancora Bassi a titolo di esempio – contiene circa 40 grammi di piombo. Il tordo bottaccio è la specie più cacciata in Italia. Nella stagione 2022-2023 ne sono stati abbattuti circa 2 milioni. Il calcolo è presto fatto: i fucili dei cacciatori hanno sparato qualcosa come 80 tonnellate di piombo per una sola delle specie cacciabili nel nostro Paese». Si capisce così come si possa arrivare alla stima di 14 mila tonnellate di piombo da cartucce disperso sul territorio europeo in un solo anno.
Di qui l’appello a cambiare, prevedendo per la caccia solo cartucce realizzate con metalli meno impattanti. Il passaggio dall’età del piombo a quella del rame non sarebbe in questo caso un passo indietro della storia. Sarebbe piuttosto un guardare avanti.
2 dicembre 2025 ( modifica il 2 dicembre 2025 | 18:07)
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