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All’Arena di Verona un’«Aida» da immaginario televisivo

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Rai3 ha riproposto Aida firmata da Stefano Poda e diretta da Marco Armiliato, con Anna Netrebko nelle vesti dell’eroina verdiana. L’opera, già trasmessa, era stata allestita per celebrare i cento anni del Festival Lirico più popolare al mondo, l’Arena di Verona.

Non sono un esperto di melodrammi (nessun giudizio su cantanti e orchestra), perciò mi affido volentieri al parere di Alberto Mattioli: «Questa nuova Aida dell’Arena di Verona griffata in toto Stefano Poda (regia, scene, costumi, luci, coreografia) dice poco su Aida ma molto sul nostro mondo… Poda non è mai stato un regista d’opera, nel senso che non si è mai posto il problema di affrontare una drammaturgia, men che meno di risolverla».

Ed ecco il punto per me più importante: «È uno show neobarocco, sontuoso, scintillante, intimamente televisivo, insomma pop, e infatti assai applaudito da una folla né radical né chic, il cui immaginario è, appunto, televisivo».

La Rai si è molto impegnata per questa realizzazione: diciannove telecamere in alta definizione per garantire punti di vista sorprendenti e un gruppo di lavoro di quindici persone. Ma questa Aida riflette davvero un immaginario televisivo, qualunque cosa voglia dire?

Le coreografie non avevano nulla della grazia, tanto per fare un esempio. dei programmi di Antonello Falqui. I costumi sembravano presi a prestito dal trovarobato anni Ottanta, che quando li vedi a Techetechete’ ti assale un brivido. Difficile, per esempio, trovare in tv uno spreco di simboli come quelli offerto a Verona, con quella manona incombente a significare «l’archetipo dell’umano, la sua volontà di possesso, il mezzo per tenere, ma anche la capacità di lasciare. Potere e possesso». Urca!

C’è un kitsch molto riconoscibile e penso alle Aide veronesi con cavalli ed elefanti: produzioni artistiche caratterizzate da sdolcinature sentimentali o da vistosa volgarità, tanto da apparire spesso involontariamente comiche.

E c’è un kitsch più subdolo, come quello di Poda, dove scompare la drammaturgia e la questione del gusto (e del cattivo gusto) si sposta dall’estetica filosofica all’analisi sociologica.

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6 agosto 2025

6 agosto 2025

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