
Giudicare il proprio lavoro e il proprio successo non è certo facile, specie per chi, come Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti, da quel successo è stato portato molto in alto.
Probabilmente non era nemmeno questo lo scopo che si erano dati, affidando a Sophie Chiarello, che da più di vent’anni segue le loro avventure cinematografiche, la regia di «Attitudini: nessuna» con cui ripercorre la loro storia di attori.
Eppure è questo quello che manca, che si vorrebbe trovare tra un ricordo e l’altro, tra un complimento e una risata: una qualche riflessione sul loro tipo di comicità, sulle ragioni che li hanno portati a inventare i loro personaggi, i loro numeri.
Non i singoli sketch (che di un paio svelano l’origine) ma piuttosto cercare di spiegare l’essenza della loro vis comica. All’inizio del film dicono abbia origine dalla loro «fame». Ma ad aver «fame» in questo mondo sono in tanti, mentre di Aldo, Giovanni e Giacomo ci sono solo loro.
Vanno comunque sottolineati anche i meriti che il film ha, cominciando dall’eliminazione della galleria dei complimentatori, quei volti più o meno noti che nei documentari dedicati a personaggi di successo scambiano la richiesta di un ricordo con il compiacimento autopromozionale che li porta a considerarsi più importanti di tutto: io, io, io…
Questi campioni del narcisismo per fortuna qui mancano, sostituiti dalle persone che hanno avuto un ruolo realmente importante nella loro formazione: Marina Spreafico e Ida Kuniaki della scuola di teatro L’Arsenale dove tutti e tre hanno studiato, anche se in anni diversi, Fausto Sassi e Adriana Parola della Televisione svizzera italiana (dove Aldo e Giovanni hanno iniziato con le loro «scenette»), Paola Galassi, la prima regista del duo Aldo e Giovanni.
Poi Paolo Rossi ma per rievocare i tempi del Derby, la «compagna di viaggio» Marina Massironi che ha iniziato a fare serate con Giacomo, naturalmente Giancarlo Bozzo, l’ideatore dello Zelig e poi Gino e Michele e la Gialappa.
Nel mentre tutti e tre hanno rievocato le loro origini proletarie: Aldo (quello a cui sulla pagella alla voce «attitudini», c’era scritto: nessuna) figlio di genitori separati e apprendista meccanico; Giovanni che ha imparato dal padre tipografo il rispetto per gli altri e che viveva in una casa col cesso sul balcone; Giacomo prima saldatore poi infermiere, «re dell’endovena».
Per tutti e tre fare l’attore è stato un modo di lasciare una vita che sentivano stretta, di liberare la fantasia e l’energia che urgeva dentro, ma senza mai riuscire davvero – nel film – a mettersi davvero a nudo davanti a loro stessi.
C’è un momento in cui Giovanni sembra lasciarsi andare, quando confessa la commozione che prova tutte le volte che sente Per un basín di Enzo Jannacci. La voce off della regista gli chiede la ragione e lui butta là qualche parola su «quel mondo ingenuo… che non c’è più» ma poi si ferma, quasi vergognandosi.
Peccato, perché forse quella loro comicità così diretta, così elementare, non sofisticata ma buona e placida viene proprio da quel mondo ingenuo che Jannacci sapeva cantare e che loro hanno portato nei film.
Un po’ come quelle brevissime scenette di Stanlio e Ollio, Buster Keaton o Charlot che spuntano all’improvviso nel film, a nobilitare frammenti di gag che avrebbero meritato qualche parola in più.
Ed è sintomatico che rievocando l’articolo di Veronesi sull’«Unità», commissionato da Veltroni fulminato dalla gag di Tafazzi che si riempiva di bottigliate in quel posto là, Giacomo sia più contento di affacciarsi sul balcone da cui parlava Berlinguer che dei complimenti per aver inventato un personaggio simbolo.
E a nessuno è venuto in mentre di controllare il ruolo che il «tafazzismo» ha trovato nella lingua italiana. Ma in fondo la qualità che è stata alla base del loro successo e che non smette di farceli amare (e di ridere quando vediamo per l’ennesima volta le loro «scenette») è proprio questa modesta modestia, che li porta ad ammettere gli errori (Fuga da Reuma Park) e gli sgarbi (con Marina Massironi) e che aumenta la voglia che tornino ancora a farci ridere.
2 dicembre 2025
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