Home / Esteri / Gli italiani picchiati dai coloni israeliani: «Le loro incursioni sempre più frequenti, restiamo qui». Il caso della telefonata di Tajani rifiutata

Gli italiani picchiati dai coloni israeliani: «Le loro incursioni sempre più frequenti, restiamo qui». Il caso della telefonata di Tajani rifiutata

//?#

Non vogliono parlare di come stanno, di che cosa è rimasto sui loro corpi dei calci e dei pugni dei coloni israeliani. «Ci dà molto fastidio vedere che l’attenzione sia tutta concentrata su di noi, sulla nostra condizione, e non su quello che succede nella Palestina occupata», dice al telefono Eddi, 27 anni.

Accanto a lei ci sono la «compagna» Ruta, 32 anni, e il «compagno» Tau, 28. I tre volontari italiani dell’associazione Faz3a, che domenica mattina, con un’amica e attivista canadese, sono stati picchiati dai coloni, si trovano in un posto sicuro a Ramallah.

E per ora non hanno intenzione di fare rientro in Italia: «Torneremo presto sul campo, perché gli attacchi dei terroristi israeliani non sono cosa rara o nuova: accadono sempre», raccontano i giovani che da diverse settimane fanno «presenza solidale» a Ein al-Duyuk, il villaggio di beduini a ovest di Gerico.

Proviamo a chiedere: «Come state?». Ci rispondono che sentono «tantissima rabbia verso il governo genocida di Israele e altrettanta rabbia perché in questi giorni abbiamo parlato a lungo con i giornalisti ma sono state tagliate dichiarazioni per noi importanti».

Per esempio? «Sulla complicità del nostro Paese con lo stato di occupazione israeliana, e sulle armi che Leonardo vende a Benjamin Netanyahu», spiega Eddi che prima di partire faceva la cameriera: «Non avevo più voglia di pagare il genocidio con le mie tasse».

Domenica, Antonio Tajani ha condannato l’attacco ed espresso solidarietà per i tre volontari. Il ministro ha provato a mettersi in contatto con loro «ma quando il console ci ha proposto di rispondere a una sua telefonata, abbiamo rifiutato».

Non gli hanno voluto parlare perché «non ci interessa la sua vicinanza, vogliamo che l’Italia interrompa tutti i rapporti economici ed accademici con Israele. Ci volevano rassicurare promettendoci che Tajani non avrebbe affrontato nessuna questione politica, ma non hanno capito: noi volevamo affrontarle eccome».

Se ci fosse bisogno, sono pronti a tornare a Ein al-Duyuk, il villaggio nella zona A, quella sotto la giurisdizione dell’Autorità palestinese. Spiega Tau che fino a due mesi fa, era un luogo relativamente tranquillo, «avvenivano incursioni dei coloni, ma erano sporadiche. Poi sono diventate molto frequenti, come in tutta la Cisgiordania».

Già domenica, i tre italiani hanno parlato con gli abitanti-amici della collina a ovest di Gerico «e ci hanno raccontato che qualche ora dopo l’attacco, c’erano state nuove incursioni».

I raid hanno cambiato la vita delle venti famiglie che vivevano lì. «Cinque di queste se ne sono andate. Chi è rimasto ha smesso di portare gli animali al pascolo. Hanno tutti venduto le pecore e le capre», racconta Tau.

I coloni distruggono le case, i pannelli solari, spaventano i bambini: l’obiettivo è quello di cacciare la popolazione palestinese dalla terra.

Il volontario spiega il significato di «presenza solidale»: «Passiamo il tempo con le famiglie, mangiamo con loro, beviamo il té, giochiamo con i bambini». Eddi aggiunge: «Con il nostro privilegio di persone bianche cerchiamo di aiutare e dare protezione dai coloni e dall’esercito a queste persone che subiscono ingiustizie su ingiustizie, ma, come si è visto, non funziona sempre».

Eddi racconta che quando quella decina di coloni mascherati ha fatto irruzione nella loro abitazione, lei più che paura ha provato rabbia: «Mi sono chiesta se quelle armi che avevano sulle spalle arrivassero dal nostro Paese». Invece Ruta dice di aver provato «molta paura».

Non vogliono raccontare chi sono, non condividono i loro cognomi. Non sono specifici sulle vite in Italia, sempre perché «il punto non siamo noi».

Però ci tengono a spiegare che tutti possono fare i volontari: «Abbiamo background diversi ma siamo qui spinti dallo stesso senso di impotenza e di frustrazione degli ultimi due anni di guerra».

Anche in Italia partecipavano a manifestazioni e iniziative in sostegno del popolo palestinese: «Ma farlo da qui è tutta un’altra cosa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

2 dicembre 2025

2 dicembre 2025

Fonte Originale