
Momenti belli, momenti dolorosi, idee e intuizioni: ogni giorno il nostro cervello processa queste informazioni per trasformarle in ricordi a lungo termine. Proprio questi ricordi contribuiscono a formare la nostra personalità, il nostro modo di affacciarci al mondo. Ma come fa il cervello a decidere cosa tenere e cosa «far cadere nel dimenticatoio»?
È un vecchio interrogativo, sul quale si sono recentemente cimentati anche ricercatori della Rockefeller University di New York, in uno studio che è stato pubblicato sulla rivista Nature.
Lo studio
Per l’esperimento hanno assegnato a un gruppo di topi diversi compiti comportamentali durante i quali hanno sviluppato dei ricordi. Alcuni di questi sono stati conservati a lungo termine, mentre altri sono stati dimenticati nel giro di qualche settimana. I ricercatori hanno quindi monitorato i cambiamenti molecolari in specifici circuiti che differivano nei due casi, e hanno identificate molteplici ondate di trascrizione genica nel circuito talamo-corticale del cervello.
In particolare, sono stati identificati tre regolatori molecolari che, almeno nei topi, risultano cruciali per il mantenimento dei nostri ricordi:
- CAMTA1: Si attiva per primo e mantiene il ricordo per i primi giorni
- TCF4 e ASH1L: Entrano in gioco dopo e lo mantiene per settimane
Questo significa che il nostro cervello ricorre a una «cascata» orchestrata di geni che si accendono uno dopo l’altro, come una sequenza programmata. Ogni gene ha un ruolo specifico e un timing preciso e consente la permanenza dei ricordi. Quindi quello che il cervello sceglie di ricordare non è definito da un interruttore «acceso/spento» ma è un processo in continua evoluzione.
Meccanismi da conoscere, meccanismi da proteggere
I risultati di questa indagine potrebbero avere implicazioni anche nella ricerca sulle malattie legate alla memoria. Priya Rajasethupathy, coordinatrice del laboratorio dove si è svolto l’esperimento, ipotizza che identificando i geni responsabili della conservazione della memoria si potrebbero instradare i ricordi attraverso circuiti alternativi a quelli danneggiati: «Se sappiamo che una seconda e una terza area sono anch’esse importanti per il consolidamento della memoria, e abbiamo neuroni che muoiono nella prima area, forse possiamo bypassare la regione danneggiata e lasciare che le parti sane del cervello prendano il sopravvento».
Ogni ricordo è quindi il frutto di una staffetta di geni, che collaborano per poterci rendere quello che siamo. Conoscere sempre meglio questi meccanismi significa capire cosa fare per proteggerli quando diveniamo fragili e la memoria di noi stessi inizia a sgretolarsi.
30 novembre 2025
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