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Perché un italiano su 10 si sente sempre stanco? Può essere il cervello «che si sbaglia»

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Al mattino scendere dal letto già sembra difficile come scalare una montagna, dopo una giornata di normali attività ci si ritrova spossati. Con il ritorno dell’ora solare e il buio e il freddo dell’inverno, poi, la stanchezza si accentua ulteriormente: sentirsi cronicamente con le batterie scariche riguarda circa 1 italiano su 10, ma potrebbe essere colpa di un cervello che «non collabora», stando a studi condotti nell’ambito del progetto Mnesys sulle neuroscienze, il più ampio mai realizzato in Italia e in Europa con oltre 800 ricercatori al lavoro in più di 90 centri del Paese.

Lo studio 

Secondo i dati raccolti da Mirta Fiorio e Angela Marotta del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona, negli «stanchi cronici» non funziona a dovere l’attenuazione sensoriale, un meccanismo con cui il cervello «abbassa il volume» delle sensazioni che derivano dai movimenti volontari: farlo ci serve per distinguere quelle che provengono da fuori, su cui abbiamo meno controllo e che quindi non riusciamo a ridurre, e quelle che dipendono dai nostri gesti, che vengono appunto attenuate per governarle, sapendo che dipendono da quel che facciamo. Un esempio per capirlo è il solletico, come spiega Fiorio: «La sensazione chiara e travolgente che proviamo quando ce lo procurano gli altri diventa quasi impercettibile se vogliamo farci il solletico da soli». Ma che cosa c’entra questo con la fatica? «Quando vogliamo compiere un gesto il cervello, sulla base dell’esperienza, prevede le sensazioni che proverà e ne regola l’intensità percepita. Il cervello di chi ha la tendenza a sentirsi più affaticato del dovuto però è meno capace di attenuare le sensazioni connesse ai movimenti volontari: sbaglia previsione e quindi ritiene le azioni più faticose di quanto siano in realtà», dice Fiorio. Un «cortocircuito» cerebrale che, stando ai dati raccolti su diverse decine di volontari, avviene sia in chi è sano ma si sente sempre stanco, sia in pazienti con malattie in cui la fatica è un sintomo frequente e invalidante, come il Parkinson: la stanchezza patologica sarebbe perciò il risultato del ripetersi delle previsioni sbagliate associate al movimento volontario. «Ritenere i gesti più faticosi del dovuto, oltre ad amplificare la stanchezza, porta ad avere una percezione di minor controllo sulle proprie azioni», aggiunge Fiorio. «Ciò spiega perché sentirsi affaticati spesso si accompagna alla sensazione di non essere pienamente in grado di portare a termine i compiti che ci prefiggiamo, come se qualcosa ci impedisse appunto di avere il pieno controllo delle nostre azioni. Il metodo con cui è stata valutata l’attenuazione sensoriale», prosegue Fiorio, «è un test oggettivo (si chiede di riprodurre la forza applicata su un dito da un braccio robotico in diverse condizioni in cui il fenomeno si manifesta o no, ndr), perciò l’attenuazione sensoriale potrebbe diventare un biomarcatore per misurare la stanchezza più preciso rispetto ai questionari impiegati oggi».

Sensi sconosciuti: enterocezione e propriocezione 

Ma se ci si sente sempre a terra come si può insegnare al cervello a fare previsioni più corrette riguardo ai movimenti che sta per fare, per non essere stanchi ancora prima di muovere un dito? «Dare suggerimenti non è facile perché le possibilità di intervento per migliorare la qualità di vita di chi convive con la fatica patologica dovranno essere verificate attraverso studi specifici», risponde Angela Marotta. «Però è possibile ipotizzare che sia d’aiuto tutto ciò che migliora la capacità di associare al movimento volontario la giusta sensazione, per esempio attività come lo yoga o il pilates, che potremmo definire di allenamento sensoriale-motorio. È utile poi favorire una maggiore consapevolezza del corpo e anche una corretta “lettura” dei segnali che ci manda, come il ritmo della respirazione o la frequenza del battito cardiaco».
Ciò che consente di farlo è un senso un po’ negletto, l’enterocezione, il senso per sentire e interpretare le informazioni che arrivano dall’interno del corpo come il battito del cuore o la frequenza del respiro, la fame e la sete, la sazietà, il bisogno di andare in bagno, che perciò andrebbe allenata così come la propriocezione, il senso che informa continuamente il cervello sui movimenti e le loro conseguenze. «Tutto quello che migliora enterocezione e propriocezione potrebbe aiutare a ritrovare una giusta percezione della stanchezza e quindi a prevenire e gestire l’affaticamento patologico», conclude Fiorio.

Meditazione ed esercizio per sentirsi in forma

Far «parlare» di più e meglio il cervello con il corpo serve a prevenire la stanchezza non motivata. Il dialogo può essere favorito partendo dalla psiche o dal fisico: la meditazione, per esempio, porta la mente ma anche il corpo, in uno stato di riposo profondo e si è dimostrata capace di gestire l’affaticamento cronico e a ridurre la stanchezza mentale, stando a una revisione degli studi condotta da ricercatori della Daejeon University in Corea del Sud. D’altro canto l’esercizio fisico è un ottimo regolatore della stanchezza perché allena il cervello a interpretare in modo corretto le sensazioni che arrivano dai muscoli e dal corpo in generale, migliorando le capacità di enterocezione e propriocezione: lo ha confermato un’analisi su oltre 80 ricerche, dimostrando come allenarsi con regolarità, senza esagerare con l’intensità, aumenti la sensazione di vitalità ed energia, mentre essere sedentari fa sentire più spesso con le pile scariche.

23 novembre 2025

23 novembre 2025

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