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Gloria Bellicchi: «Vivo con tre dislessici, a casa sono io quella “diversa”»

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Non sempre i genitori vedono con chiarezza le fatiche dei figli, soprattutto quando hanno un’intelligenza brillante e vivace. E, diventa ancor più difficile, quando la mamma è l’unica componente neurotipica in una famiglia di quattro persone. Lo racconta l’attrice Gloria Bellicchi, autrice con il marito Giampaolo Morelli, anche lui attore e padre dei loro due figli Gianmarco di 12 anni e Pier Maria di 9 anni, in Dislessico famigliare. Cronache (s)connesse di una famiglia straordinariamente normale (Sperling&Kupfer), un libro che nasce dal bisogno di condividere il proprio vissuto con tutti i genitori che stanno affrontando un percorso simile, ma anche per superare alcuni stereotipi. «La dislessia non è una malattia, ma una caratteristica. Ognuno dei tre maschi di casa è dislessico a modo suo». Non esiste giusto o sbagliato, ma solo strade diverse per arrivare alla stessa destinazione. È questa la filosofia con cui Gloria affronta le sue giornate e aiuta i suoi figli a coltivare la loro autostima.

Suo marito ha scoperto di essere dislessico da adulto, com’è arrivata la diagnosi per i suoi figli?
«Il maggiore, Gianmarco, era in prima elementare ed era l’anno della didattica a distanza. Giampaolo seguiva il bambino durante i collegamenti con la classe e si rese conto che c’erano delle dinamiche che gli ricordavano molto quelle che lui aveva vissuto da piccolo».

Non ci sono stati altri campanelli?
«Che i miei figli, e anche Gianpaolo, funzionassero in modo stravagante l’avevo sempre intuito. Oggi, andando a ritroso, tante piccole cose diventano più chiare. Però, nel momento in cui le si vive, si pensa solo: “Com’è particolare questo bambino che vive ogni passione in modo vorace” oppure “Com’è delicato nel muoversi rispetto ai suoi amichetti”».

Come ha vissuto da mamma questa diversità? Ha avuto dei sensi di colpa?
«Non sono riuscita ad allattare Gianmarco, perché è anche disprassico (un disturbo neurologico che compromette la coordinazione motoria e la pianificazione dei movimenti volontari, ndr); invece, con Pier è stato più semplice, perché è solo dislessico. Se sai che non è colpa tua, perché non ti dedichi abbastanza o non hai avuto pazienza, ma semplicemente è una caratteristica del bambino, è più facile. Bisogna aprire la mente alla possibilità di non avere aspettative standard».

La diagnosi le ha permesso di cambiare punto di vista?
«Ho accolto la novità come un momento importante perché si mettevano in fila tante tante cose e ho iniziato a spiegarmi perché mio figlio, che aveva sempre mostrato un’intelligenza assolutamente brillante, si bloccasse in cose banalissime come trovare la pagina 25 in un libro, senza sapere se andare avanti o indietro per cercarla. Ho visto molto turbamento negli occhi di Gianpaolo, che evidentemente temeva che i suoi dolori di studente e le sue sofferenze potessero riguardare anche i suoi figli».

In molte famiglie le diagnosi di Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) sono liberatorie, una sorta di sollievo.
«Sì, è così. Inizialmente sono stata una mamma estremamente neurotipica, cioè con i paraocchi».

In che senso “con i paraocchi”?
«Ricordo l’ultimo anno di materna, quando una maestra mi aveva riportato all’attenzione che, benché Giammarco fosse brillante in tanti aspetti, nel momento in cui si metteva a fare un po’ di prescrittura, era atterrito, a disagio. Dentro di me, reagii con insofferenza: “Ma com’è possibile? È così empatico, brillante, sensibile, riesce a giocare in maniera straordinaria con ciascun compagno. Sta parlando di un bambino praticamente eccezionale. Sei tu la maestra, mettilo a suo agio!”. Come mamma di dislessici sono cambiata, mi sono trasformata, perché poi, chiaramente, bisogna accettare quello che accade».

Il rapporto con la scuola è complicato?
«La scuola è fatta dagli insegnanti: dipende molto da chi si incontra. In generale, il problema è che la scuola propone programmi standard, ed è anche comprensibile che sia così. Nel mondo ideale non dovrebbe essere nemmeno necessario accertare un Dsa. Maestri e professori dovrebbe semplicemente proporre l’argomento in modo diverso. Le faccio l’esempio. Il piccolo, Pier, continuava a sostenere che “5 + 0 = 6”, perché per lui lo zero era un elemento e andava contato. Solo facendo un discorso sul vuoto, sulla mancanza, siamo arrivati a dire 5+0= 5. Lo avrebbe capito anche da solo, con il tempo. Però, perché non cercare di evitargli un po’ di senso di frustrazione, in un’età in cui ogni esperienza lascia un segno profondo?».

Come è organizzato il momento dei compiti?
«Insieme a me c’è Simona, la persona che sta con noi durante la settimana e una ragazza che viene nel weekend, perché i compiti sono tanti e i ragazzi sono due. Sono fondamentali perché effettivamente l’organizzazione del tempo e la gestione del lavoro, anche solo del diario, non sono il loro forte. E quindi bisogna, nelle attività quotidiane, come nello studio, utilizzare delle strategie».

L’organizzazione è la fatica più grande?
«È  l’impegno principale. Poi c’è la stanchezza, che è un altro aspetto importantissimo, perché il loro modo di ragionare e di vivere richiede tantissima energia e, di conseguenza, hanno dei momenti in cui devono recuperare. Per una persona come me che, invece, si sveglia al mattino, affronta la sua routine, poi verso sera è un po’ più stanca in maniera, appunto, lineare e comprensibile, questi momenti possono causare dei moti di stizza. “Ma come, sei già stanco?” Poi magari dopo due minuti: “Ma come, ma non eri stanco? Adesso tutta questa energia?”. È importante conoscere per comprendere».

Come vive la frustrazione dei suoi figli?
«Come ogni madre: distrutta, squarciata. È il motivo per cui ho deciso, insieme a Gianpaolo, di aprire le porte di casa nostra, per dare un senso a quello che stiamo vivendo. E poi per combattere i pregiudizi. Si sentono spesso commenti come “i dislessici si distraggono e sono lenti”. In realtà succede in alcune cose, in altre sono molto più veloci. E io che vivo in una famiglia con tre dislessici e sono la minoranza in casa mia, me ne rendo conto. Tendono a vedere il mondo da una prospettiva multisensoriale, che gli fa cogliere un sacco di informazioni insieme».

In che cosa si sente “diversa”?
«Gianmarco e Pier, come Giampaolo, riescono a fare tante cose insieme, e come neurotipica, spesso, mi lasciano indietro, perché con il loro modo di procedere nel pensiero, fanno collegamenti, connessioni, hanno tantissime informazioni disponibili subito».

È faticoso capirsi a volte?
«È stato complesso tararsi con questo modo diverso di vedere le cose e, quando proprio sono disperata, chiamo un’amica, mi faccio una chiacchierata lineare e ritorna la pace interiore. Perché chiaramente vivere ogni giorno insieme a cervelli che funzionano diversamente, sì, è un po’ illuminante, spesso sorprendente, ma molto faticoso e richiede sempre un certo sforzo. Però, mi sono anche resa conto che non esiste tra noi un “cervello migliore”, esiste un cervello più adatto a una modalità o un’altra. I dislessici, per parlare per sommi capi, utilizzano maggiormente l’emisfero destro, che è quello dell’intuizione, della visione di insieme. Noi ci muoviamo in maniera lineare, una parola dopo l’altra, un pensiero dopo l’altro. Quindi, spesso arriviamo allo stesso punto, semplicemente passando per strade diverse».

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22 novembre 2025

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