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Al Prado di Madrid, nella stanza numero 56, c’è un Trittico che, da solo, può raccontare tutta la bellezza e tutto il potere dell’arte: il Giardino delle delizie (1480-1490, circa)
di Hieronymus Bosch che nel pannello centrale (tra il Paradiso, a sinistra, e l’Inferno, a destra) mette in scena una distesa affollata di figure maschili e femminili (più o meno nude), animali, piante e fiori (più o meno mostruosi). Un universo di creature (più o meno fantastiche) impegnate in sfrenati giochi amorosi e in altre attività, uomini e donne che (in coppia o in gruppo) si esibiscono senza vergogna. L’universo misterioso e inquietante raffigurato da Bosch assomiglia molto a quello che possiamo ritrovare oggi nell’universo sconsiderato (per numeri e per soggetti) delle immagini che affollano il nostro immaginario contemporaneo, fatto sempre meno di foto vere e sempre più di selfie cotti e mangiati con lo smartphone.
Se la voce di Oliviero Toscani (Milano, 28 febbraio 1942), che di quell’antica idea di fotografia fatta di belle immagini e di messaggi sociali importanti è uno dei simboli, appare indebolita dalla malattia («Mi trovate in un momento di salute non ottimale, ma va bene così», confessa prima dell’intervista), non altrettanto si può dire di quel suo sogno, ancora potente, costellato da immagini belle, forti e piene di significati (le stesse che sin dall’inizio hanno contrassegnato il suo percorso). «Oggi tutti fanno fotografie, ma nessuno è un fotografo — racconta al telefono dal suo rifugio di Casale Marittimo, nella Maremma pisana —. Le persone usano la tecnologia per mostrare agli altri quello che pensano sia interessante, immagini bellissime oppure inguardabili».
Secondo Toscani (l’uomo delle campagne pubblicitarie per United Colors of Benetton, ma anche della campagna choc contro l’anoressia con la modella e attrice francese Isabelle Caro) «il mestiere del fotografo è ormai finito». Perché? «Perché prima si andava dal fotografo per cercare di farsi ritrarre più belli, per lanciare un messaggio estetico ma anche etico, mentre oggi tutto questo non conta più».
La collana La nuova fotografia, ideata e curata proprio da Oliviero Toscani (che ha scritto anche l’introduzione a ciascuno dei 30 volumi) è quella «di fornire una guida per capire il linguaggio della fotografia di oggi, non più appannaggio esclusivo dei fotografi ma che ognuno di noi esercita quotidianamente e che offre una nuova visione del mondo documentando ciò che ci circonda». Un racconto del bene, (più spesso) del male e (più genericamente) dei difetti di una realtà con cui ci confrontiamo quotidianamente. Come nel pannello centrale del Giardino delle delizie di Bosch, nella sequenza dei titoli della collana si inseguono i tanti vizi e le poche virtù del genere umano. Da una parte: il narcisismo (anche se i nuovi Narcisi non assomigliano certo a quelli bellissimi di Caravaggio, Cellini, Rubens, Waterhouse), il conformismo, la solitudine, la nevrosi, la violenza, il razzismo o la vanità. Dall’altra: la nostalgia, l’ironia, l’appartenenza, la pietà, la risata.
«La fotografia è stata la memoria storica dell’umanità — racconta ancora Toscani —. Oggi è invece il ritratto di un’umanità abbastanza confusionaria e molto individualista, senza tanti ideali, senza tanti sogni, senza tanti progetti, impegnata solamente a mostrarsi, non importa se al suo meglio o più spesso al suo peggio, perché l’importante è esserci in un modo o nell’altro. Quasi come se questi non aspettassero altro, tutti fotografano e si fotografano per mettersi in mostra senza sapere quello che fanno, è come se scrivessero senza conoscere la lingua».
Ancora una volta Toscani, dunque, a sparigliare le carte: mentre grandi mostre celebrano i grandi maestri (Ugo Mulas al Palazzo Reale di Milano, Steven McCurry al Salone degli Incanti di Trieste, Henri Cartier-Bresson al Palazzo Roverella di Rovigo, Edward Burtynsky all’M9 di Mestre, Jacques Henri Lartigue e André Kertész alla Villa Mussolini di Riccione, Tina Modotti al Centro Camera di Torino, Vivian Maier alla Reggia di Monza) l’uomo che nel 1994, sotto l’egida del Gruppo Benetton, aveva inventato Fabrica (il centro internazionale per le arti e la ricerca della comunicazione moderna di Catena di Villorba, in provincia di Treviso) sceglie con questa collana di aprire una nuova strada, chiudendo in qualche modo con il passato, per cercare un’altra realtà che superi quello che Toscani definisce l’«analfabetismo visivo». «Bisogna — dice — ritrovare il senso dell’azione fotografica capace di definire l’umanità e la realtà, perché senza immagini non esiste la realtà, perché lo sguardo della fotografia è la cosa più importante del nostro attuale rapporto con noi stessi e il mondo».
Già la scelta di iniziare con il narcisismo (o meglio con i narcisismi) appare volutamente controcorrente. Nel primo volume della collana, al bellissimo ritratto di un giovane uomo sullo sfondo di grattacieli e bandiere Made in Usa (dello stesso Toscani) seguono così frammenti di nuove e inaspettate realtà: «Oggi non c’è bisogno di grandi fotografi, è una epoca, lo ripeto, finita. Ogni giorno si scattano bilioni di foto che neppure guardiamo, la maggior parte viene fatta e subito dopo ignorata — spiega ancora Toscani —. Un modo per sfogare il nostro ego, per rendere gli altri partecipi di ciò che stiamo facendo. Una volta c’erano dieci foto del figlio: adesso ne abbiamo migliaia, una più brutta dell’altra. Ma fotografare davvero è come dipingere: bisogna impegnarsi a vedere la forma, gli equilibri e tutto quanto fa amplificare quello che si vuol dire».
Oggi, secondo Toscani, a fare la differenza è «cosa si fotografa, non come lo si fa». È questa la nuova fotografia? «È quella che prima chiamavano la brutta fotografia: ormai ci siamo abituati a vedere le cose che una volta pensavamo fossero brutte e che ora sono diventate invece un punto di riferimento sociale e formale-estetico, fotografie che non giudichiamo più con i parametri di quella che un tempo chiamavamo la grande fotografia». Sono stati i social media a ridefinire una «realtà più reale del vero». Ormai si crede più a ciò che vediamo sui social che a quello che vediamo o che sentiamo dal vivo: «Forse il dal vivo non esiste nemmeno più: c’è sempre un cellulare fra noi e ciò che ci sta di fronte. Oggi con il telefonino abbiamo tutti una macchina fotografica in tasca e fotografare è diventato un atto quotidiano e naturale come parlare, come leggere, come avere una lavatrice in casa, ma non per questo siamo diventati tutti fotografi, come non si diventa scrittori solo perché si sa scrivere».
C’era una volta Salvador Dalí, il principe dei narcisi (non a caso il suo ritratto compare nel primo volume della collana), che usava la fotografia proprio come azione artistica narcisistica. Una volta gli chiesero chi fossero a suo parere i grandi pittori della storia. Rispose: «Raffaello, Picasso e io». «Come fa a dire una cosa del genere?», gli obiettarono. «Conoscete qualcuno di più originale di me?». Oggi, invece, ogni originalità sembra essere bandita dall’universo delle immagini: «Tutti fanno vedere tutto di sé allo stesso modo e la fotografia non serve più a fare delle scelte estetiche o anche politiche, per questo non può avere niente a che fare con il bello o il brutto come con i diritti umani perché documenta tutto in maniera passiva, rimanendo in superficie, senza prendere posizione».
Eppure la fotografia continua a restare uno strumento incredibilmente potente per guardare al futuro: «Può far diventare bello un pezzo di m…a e far sembrare brutto un capolavoro dell’arte — conclude Oliviero Toscani —. Ma, l’estetica non conta, quello che conta è che riesca a cogliere l’anima della realtà, sia fatta di cose o di persone».
La serie in trenta volumi: il primo a 6,90 euro
Il primo dei trenta volumi della nuova collana Oliviero Toscani.
La nuova fotografia — martedì 26 novembre in edicola con il «Corriere della Sera» e «La Gazzetta dello Sport» a 6,90 euro più il prezzo del quotidiano e, a seguire, ogni martedì fino al 17 giugno dell’anno prossimo, ogni volume a 12,90 euro più il costo del quotidiano — è intitolato Narcisismi. Selfie e culto del sé. Si parte dunque con un argomento che, nel campo dell’immagine, in questi anni è diventato forse il più attuale di tutti. E che spiana la strada ad altri ventinove volumi con titoli di altrettanto interesse sociale, oltre che fotografico: Solitudini. La condizione dell’individuo moderno (in uscita il 10 dicembre), Nevrosi. Messaggi e forme di squilibrio (17 dicembre), Disperazioni. Ritratti del vuoto (7 gennaio), Indignazione. Immagini e ingiustizia (14 gennaio), Appartenenza. Il bisogno di essere accettati (11 febbraio), Noia. La monotonia del benessere (18 febbraio), Razzismo. Discriminazioni e persecuzioni (11 marzo). Provocazione. La sfida delle immagini (25 marzo). E poi ancora Violenza. Fra denuncia e incitamento (22 aprile), Trasgressioni. Oltre i limiti condivisi (6 maggio), fino ad arrivare all’ultimo volume della collana che con il suo titolo Vanità. Autocompiacimento ed esibizionismo (17 giugno) riprende idealmente il primo sul culto di sé. Nell’introduzione al primo volume, L’io è il vero dio, Toscani — che già in passato aveva curato una collana per il «Corriere» dedicata alle lezioni di fotografia — spiega: «È arrivato il momento di capire il senso dell’azione che ora definisce l’umanità e la realtà. Occorre uscire dall’analfabetismo visivo, ora come non mai, ed è per questo che parliamo della nuova fotografia, quella di oggi, che ciascuno esercita quotidianamente, a ogni istante, e il cui significato va capito e interpretato». Toscani ravvisa una componente narcisistica nella consuetudine del farsi i selfie, così radicata nelle nostre vite. «Il narcisismo — puntualizza ancora nella sua lucidissima analisi introduttiva — nasce dal fatto che non ci piacciamo, quindi continuiamo a fotografare sperando di essere più belli di quello che siamo, di essere amati, di avere successo o soldi, di ottenere tutto quello che ci hanno insegnato a desiderare. Fotografiamo noi stessi perché questo ci permette in qualche modo di moltiplicare la nostra presenza imponendola agli altri». Il volume in edicola oggi, in grande formato, di 96 pagine è suddiviso in 4 capitoli: Segnali di narcisismi, La foto icona, Il decalogo, Selfie e culto del sé, e contiene oltre 40 fotografie di autori diversi, scelte da Toscani e commentate dai testi di Paolo Landi.
26 novembre 2024 (modifica il 26 novembre 2024 | 07:43)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
26 novembre 2024 (modifica il 26 novembre 2024 | 07:43)
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