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C’era uno studente fuorisede, tenero e volitivo, ironico e stakanovista, nella cantina di casa Camilleri a Roma. Era racchiuso nelle lettere inviate, per un decennio, dal giovane Andrea ai suoi genitori. La prima è datata novembre 1949: ventiquattrenne, era arrivato nella capitale trovando provvisoria ospitalità in un albergo (a 700 lire a notte), per sostenere gli esami all’Accademia nazionale d’Arte drammatica dove avrebbe studiato sotto la guida del direttore Silvio d’Amico e di Orazio Costa, insegnante di Regia. L’ultima è del 31 agosto 1960: Camilleri è già sposato con Rosetta Dello Siesto («una brunetta deliziosa» la definisce la prima volta che ne parla alla famiglia) ed è nata la figlia Andreina. Quelle lettere, finite in cantina insieme ad altre carte, si interrompono quando i genitori dello scrittore si trasferiscono a Roma da Porto Empedocle; conservate nell’archivio del Fondo Camilleri, sono state trascritte e raccolte in un ricco, gustoso volume (Vi scriverò ancora) in libreria da martedì 26 novembre per Sellerio, a cura del critico Salvatore Silvano Nigro con la collaborazione delle figlie dello scrittore, Andreina, Elisabetta e Mariolina Camilleri.
La documentazione, che l’illuminante prefazione di Nigro contestualizza in una prospettiva critica, anche rispetto ai romanzi che verranno e alle scelte linguistiche che li caratterizzano, rivela un Andrea Camilleri fino ad allora sconosciuto anche a figlie e nipoti. Quei dieci anni di lettere in cui dentro c’è tutto — gli abiti, i soldi, i materassi, il caldo, il freddo, le amicizie, lo studio, i molti lavori — appaiono quasi un diario, nota Nigro, «con la loro concretezza, la diligente registrazione giornaliera fatta di occasionali non sensi, di ripetizioni, di monotonia (sempre riscattata dalla disinvolta leggerezza del dettato), e anche dell’andare a vuoto talvolta; senza reticenze comunque, e senza falsi pudori».
Camilleri è un figlio affettuosissimo: «Io mi sento di triplicare il mio affetto per voi e di darvene sempre e comunque tangibile dimostrazione» scrive ancora in una delle ultime lettere. La madre è la prima destinataria: le racconta di aver lavato le calze («sono venute abbastanza pulite! Come vedi, faccio progressi»); dei rapporti affettuosi con Costa («ogni mattina, dopo la lezione di regia, andiamo assieme a fare colazione, paghiamo uno anche per l’altro un giorno sì e un giorno no: ci sono riuscito dopo grande fatica perché voleva pagare sempre lui»); ma anche di essere andato «con una compagna assai bella e molto elegante» dal sarto Schubert che ha schizzato a lei un modellino per un cappotto e ha scambiato lui per «l’ufficiale pagatore». Con il padre c’è più ritrosia, al punto da riceverne qualche recriminazione se si sente costretto a ribattere: «È raro il caso che io abbia iniziato una mia lettera rivolgendomi solo ed esclusivamente alla mamma. Quando vi ho scritto, ambedue siete sempre stati presenti nel mio pensiero».
«Maratoneta del lavoro» (così lo definisce Nigro), Camilleri fa qualunque cosa per guadagnare e lo rivendica con orgoglio: «Quando vi chiederanno notizie di me, sbattete sul muso alla gente questa risposta — scrive ai genitori —. Ho raggiunto cioè la massima borsa, quella che viene data solo raramente agli ottimi. Me la sono guadagnata, stringendo i denti e lavorando come un cane. E dunque quando ho qualche ora libera e me la spasso con qualche ragazza mi pare che questo me lo sia ben meritato». Le difficoltà finanziarie, per altro comuni a molti compagni dell’Accademia, giustificano le richieste di denaro, avanzate con la consapevolezza che la famiglia si impone sacrifici per aiutarlo, e fanno da filo conduttore alla corrispondenza («Ho ricevuto ieri un vaglia di lire tremila che mi aiuterà a tirare avanti per non più di cinque giorni. Sono stato due giorni a mangiare a spese di Leo, mattina e sera. Capisco che voi non vi trovate in condizioni di potermene inviare, ma per me è tremendo girare per Roma senza una lira in tasca»), così come le osservazioni quasi ossessive sui ritardi della posta che impedisce il fluire della comunicazione con la famiglia.
Dall’assiduo, a volte picaresco «notiziario» inviato ai genitori, emerge una vis comica che anticipa quella del Camilleri maturo, soprattutto della serie del commissario Montalbano. Come quando, tra cerniere lampo e ganci, rimane imprigionato nella magnifica giacca che i genitori gli hanno inviato e che non riesce più a levarsi di dosso: «Tento e ritento ma tutto è inutile: decido allora di dormire con la giacca e di chiedere, al mattino, l’aiuto della padrona di casa. Ma dopo un po’ mi accorgo che la giacca mi dà fastidio e così, lentamente, con molta pazienza, riesco a liberarmene». Incidente simile a quello che gli capita con la brutta tuta imposta agli allievi dell’Accademia — fatta così male che se deve alzare il braccio destro è costretto ad alzare anche la gamba — in cui Nigro nota acutamente una maliziosa parodia del saluto fascista.
Camilleri scrive poesie, racconti, articoli, soggetti per il cinema e per la radio, ma il teatro è il faro che guida le sue giornate. Di tutto rendiconta la famiglia: «Devi dire a zia Elisa che non si preoccupi per le parole di Costa sul teatro — scrive alla madre —. “Morte del teatro” significa questo: nel 1950 tutti vanno in automobile (=cinema) e pochi a cavallo (=teatro), ma questo non significa che domani i cavalli diventeranno inservibili e come tali saranno ammazzati». Nonostante il consiglio di mettersi i tamponi nelle orecchie per non sentire il dialetto ogni volta che scendeva in Sicilia, il lessico famigliare gli suggerisce spesso termini dialettali il cui uso Nigro rintraccia nei romanzi, ricostruendo anche in parte la genesi della peculiare lingua di Camilleri.
Assieme al nutrito parentado che a Roma lo aiuta come può e a cui Camilleri è molto affezionato, l’epistolario proietta sullo sfondo le silhouette, a volte sfocate, altre più nitide, del mondo culturale, non solo italiano, negli anni Cinquanta. Da Anna Proclemer a Vittorio Gassman, da Jean Cocteau a Jean Genet, da Giacomo Debenedetti (che a una conferenza lo presenta come «il giovane poeta siciliano) ad Alberto Moravia, da Amedeo Nazzari a Silvana Pampanini: attori, scrittori, registi, salgono, anche se solo per poche righe, alla ribalta di questo teatro che Camilleri riesce a rendere vivo con piccoli, semplici tocchi. Da grande, ancora inconsapevole e sconosciuto maestro.
Il volume
Esce martedì 26 novembre da Sellerio Vi scriverò ancora. Lettere alla famiglia 1949 -1960 di Andrea Camilleri, a cura di Salvatore Silvano Nigro con Andreina, Elisabetta e Mariolina Camilleri (pp. 528, euro 17) Allo scrittore (1925-2019), di cui l’anno prossimo si celebra il centenario della nascita, è dedicato l’omaggio dell’8 dicembre a Più libri più liberi (Roma, Nuvola dell’Eur, ore 13.30)
25 novembre 2024 (modifica il 25 novembre 2024 | 12:06)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
25 novembre 2024 (modifica il 25 novembre 2024 | 12:06)
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