Ecco «Settembre nero», il nuovo romanzo di Sandro Veronesi

di NICOLA H. COSENTINO Esce martedì 8 ottobre per La nave di Teseo il nuovo libro dello scrittore due volte premio Strega. Un uomo guarda al ragazzo che era nell’estate del 1972[an error occurred while processing this directive] I romanzi di Sandro Veronesi passano sempre dal mare. A volte all’inizio del viaggio, come in Caos calmo (2005), che si apre con due fratelli che hanno appena finito di fare surf. «Surf: come vent’anni fa. Ci siamo fatti prestare le tavole da due pischelli e ci siamo buttati tra le onde alte, lunghe, così insolite nel Tirreno che ha bagnato tutta la nostra vita». Altre volte, il mare è lo snodo centrale, quello da lasciarsi alle spalle se si vuole proseguire il viaggio in pace. Come in uno dei capitoli chiave de Il colibrì (2019), Ai Mulinelli, omaggio al racconto Il Gorgo di Beppe Fenoglio, o sul litorale viareggino di Per dove parte questo treno allegro (1988), in cui tutto – i caseggiati, i menu dei ristoranti, un incontro fra le sdraio – ricorda l’impossibilità di riappropriarsi del passato. Il mare si prende la scena anche dove proprio non potrebbe, per esempio nel Trentino in cui è ambientato il bellissimo (e un po’ dimenticato) XY, del 2010. Lì, fra le tante morti inspiegabili registrate simultaneamente in un bosco innevato, se ne conta una dovuta al morso di uno squalo. «Non un lupo né un orso, né una lince né un leone o un leopardo o una tigre. Uno squalo». Impossibile? Non per Veronesi, che autografava le copie del Colibrì scrivendo «A tutte le navi in mare» e che ha ambientato il suo unico romanzo storico – Comandante, del 2023, scritto insieme a Edoardo De Angelis – dentro un sommergibile. Era questione di tempo, quindi, perché scrivesse un libro con cui elaborare definitivamente questa sua ossessione neo-conradiana per le onde, le spiagge e gli stabilimenti balneari, persino, come luoghi in cui la vita si impenna e a volte frena di colpo. Si intitola Settembre nero, lo pubblica La nave di Teseo ed è la storia di Luigi Bellandi detto Gigio, «dodici anni e quattro mesi, promosso con Distinto in terza media, tifoso della Juve, di Bitossi e della Ferrari nonché patito per tutti gli altri sport pur senza praticarne alcuno, mite, passivo e generalmente poco intraprendente». Gigio, in realtà, è un uomo adulto che parla dal presente, ma ciò che vuole raccontarci riguarda la sua estate del ’72, trascorsa seguendo le Olimpiadi di Monaco in tv e ascoltando dischi nella cameretta di Astel Raimondi, vicina di ombrellone bella, ricca e (forse) inconquistabile. Che pace, vero? Finalmente un romanzo in cui la nostalgia è una cosa dolce, tonda, rilassante... Peccato che Gigio ci abbia rovinato la festa già a pagina uno: quella che stiamo per leggere, dice, è la storia di come nasce un’infelicità. E infatti, su tutto aleggia l’attesa della catastrofe. Che riguarda certamente il massacro del 5 settembre nel villaggio olimpico di Monaco di Baviera – a opera del gruppo terroristico Settembre Nero, da cui una prima accezione per il titolo del romanzo – ma anche qualcosa nel privato dei Bellandi. Qualcosa che non si è ancora trasformato in tragedia. La barca del papà?, i corteggiatori della mamma?, il rutilismo della sorella? O forse la vicinanza coi Raimondi, il silenzio che regna nella grande casa di Astel? Veronesi fa il dio dispettoso e cosparge la spiaggia di false piste, consapevole che l’accoppiata estate & primo amore rende tutti ciechi, fuori e dentro le pagine. «Ecco perché ho pensato che mettermi a nudo con un racconto veramente sincero e onesto e scrupoloso possa servire a farmi andare finalmente oltre quella domanda: ero in grado di cambiare il corso degli eventi? Tutto quello che mi serve è una sillaba: sì. Oppure: no. E finalmente vedere cosa c’è dietro». Per noi lettori, dietro c’è la carriera di Sandro Veronesi, nel senso che Settembre nero, come si è detto, sembra un libro profetizzato da tutti e dieci i romanzi che l’hanno preceduto. Eppure non somiglia a nessuno di loro, neanche a Gli sfiorati (1990), da cui eredita l’effetto countdown per la sciagura, né a Per dove parte questo treno allegro, di cui sembra una specie di contraltare, un racconto sulla genesi del disincanto. È come un fratello giovane che del padre ha preso la voce e le movenze ma non i connotati: lo si riconosce, insomma, ma solo dopo aver visto come cammina, come gesticola, cosa ha da dire. Tanto per cominciare, è uno dei pochissimi libri di Veronesi scritti al passato remoto, e forse il solo ambientato interamente nei ricordi. E poi fa genere a sé. «Come ogni buon libro», starà commentando qualcuno, pensando ad autori eccellenti di romanzi sempre diversi e sempre privi di etichette, tipo Kazuo Ishiguro o Thomas Pynchon, che per Veronesi è un modello dichiarato. No, qui la questione definitoria è più concreta: Settembre nero si fa leggere come un giallo pur non avendone le caratteristiche formali. È, cioè, un mystery in cui si attende non la risoluzione ma l’innesco, non di scoprire il colpevole ma la natura del delitto. Cos’è successo, a Gigio e alla sua famiglia? Quando deflagrerà la bomba che sentiamo ticchettare fin dall’incipit? La risposta alla seconda domanda è: tardissimo, quasi nei ringraziamenti. Perché è questo che l’autore voleva: scrivere un romanzo d’attesa, di pura tensione; vedere quanto e come riesce ad avanzare un thriller senza testa. Veronesi, che per via del successo commerciale e della prosa accogliente viene oggi immaginato come uno scrittore istituzionale, classico, lineare, è sempre stato, in verità, un grande sperimentatore. I suoi libri meno ricordati, il già citato XY e Brucia Troia (2007), avevano un coraggioso impianto visionario, come l’interludio epistolare di Caos calmo (Pietro che spia fra le email di Lara e ne scopre una delirante) e i racconti Profezia, in cui lo scrittore elabora la morte del padre prima che avvenga, e Addio bambino Lucio, in cui si accommiata dal figlio nella forma infantile per dare il benvenuto a quella adolescente. Forse per impronta dei suoi studi da architetto, Veronesi si è mostrato inquieto anche nel gestire le strutture: Caos calmo e Terre rare (2014) non sono che un affastellarsi di incontri, dialoghi e aneddoti tenuti insieme da un pretesto, che nel primo era l’esigenza del protagonista di fermarsi e nel secondo quella di fuggire; Il colibrì, invece, svela una certa insofferenza per le gabbie narratologiche e procede per frammenti, lettere, email, sms, divagazioni quasi saggistiche, pur restando genuinamente e orgogliosamente romanzo. In Settembre nero si tenta una nuova capriola, stavolta all’indietro. Una specie di chiamata marziale all’auto-disciplina, edificata sulla passione dell’autore per le compilazioni, le liste, i memorabilia, gli idoli. Gran parte del romanzo, infatti, scivola via come un godibilissimo elenco di dischi, testi di canzoni e storie di atleti, che restituiscono, tutti insieme, un affresco degli anni Settanta vivido e definitivo – almeno nell’opera di Veronesi, che meglio di così, in termini di descrizione del passato, di quel passato, non potrà fare. Come sarà difficile proseguire il suo lungo discorso sulla paternità, che qui assume sfumature nuove, più profonde e inafferrabili. Nei libri di Veronesi, i padri sono finora stati di due tipi: cazzari favolosi e rocamboleschi alla Alberto Sordi in In viaggio con papà o mezzi profeti i cui insegnamenti si riassumono nella parola «pazienza», come Marco Carrera nel Colibrì e Pietro Paladini in Caos calmo. Il papà di Settembre nero, invece, è un trauma in divenire, qualcosa che ancora non si è rotto ma sta per, il vero primo amore a cui dire addio. Insomma, non appartiene a nessuna delle due categorie, perché è un papà da piccoli, nel senso che Gigio ce lo descrive per come lo vedeva da bambino, quando lo adorava a scatola chiusa. E il suo racconto si fa davvero struggente proprio quando indugia su questa adorazione, perché la conosciamo tutti: amare il padre come un supereroe, scoprire che non ha i poteri, guardarlo cadere dopo essere inciampato nel mantello; tornare ad amarlo come e più di prima, perché nel mantello che ci ha lasciato in eredità siamo, col tempo, inciampati anche noi. Non è facile raccontare questa altalena fra magia e disillusione senza sarcasmo, senza rabbia, eppure Veronesi ci riesce. Anzi, si fa dolcissimo, gentile; evidentemente, guarda quel padre da padre, che forse è l’unico modo per spezzare la catena, per scoprire che la buona letteratura germoglia dalla frase «Quando sarai grande capirai». Ecco, Settembre nero è proprio questo, una luminosa dichiarazione d’amore alle ragioni delle nostre crepe, quella biforcatura che ha generato involontariamente l’infelicità mostrandoci, allo stesso tempo, quanto può essere pura la felicità. Un’altra cosa interessante di questo romanzo, ma non solo: col tempo, Veronesi – trentasei anni di carriera e due vittorie al Premio Strega (nel 2006 e nel 2020, l’unico insieme a Paolo Volponi) – sta accentuando la tendenza a rivestire di straordinarietà figure comuni ma simpatiche; a, diciamo, mitizzare gli amabili. La cosa è cominciata nel 2014, con Terre rare, quando Marta, la disastrosa e irresistibile cognata di Pietro, nonché uno dei più bei personaggi della nostra narrativa recente, compiva gesta incredibili durante un viaggio in Islanda. Qui, gli straordinari sono lo zio Giotti, pittoresco amico di famiglia dalla vita turbolenta, e Gilda, geniale sorella di Gigio. Il quale invece è bravo solo in una cosa: amare le persone. Come Paladini, Carrera, Mète e gli altri protagonisti di Veronesi prima di lui, e quindi forse come Veronesi stesso, che ha un voce sempre più incantata, sempre più commossa al pensiero che esistano le famiglie, i fratelli, i figli, le nuove generazioni; gli altri. Da qui, la voglia di coccolare i suoi personaggi con magnificazioni continue, le stesse che si susseguono alle nostre tavole, nelle nostre conversazioni telefoniche, quando definiamo «unica» una sorella appena promossa sul lavoro, «meraviglioso» un figlio piccolo che sorride agli anziani per strada, «pazzesca» una moglie con un’intelligenza emotiva più sviluppata della nostra. Questa cosa, questo rivestire di eccezionalità l’ordinario, si chiama benevolenza, ed è l’argomento di cui ha sempre voluto scrivere Sandro Veronesi. Lo ha fatto anche stavolta, passando come sempre dalla costa e invitandoci a guardare fuori, ché c’è un mare stupendo, irripetibile. Il libro e gli incontri con l’autore «Settembre nero», il nuovo romanzo di Sandro Veronesi, esce martedì 8 ottobre per La nave di Teseo (pp. 293, euro 20). La nave di Teseo, per la quale è uscito il romanzo che ha vinto lo Strega nel 2020 («Il colibrì»), ripropone ora anche libri di Veronesi già apparsi presso altri editori, come Bompiani e Fandango. Veronesi presenta domenica 6 ottobre il libro a Napoli (Festival Campania Libri, ore 19, con Teresa Ciabatti e Silvio Perrella), martedì 8 a Milano (Rizzoli Galleria, ore 18, con Cristina Battocletti e Antonio D’Orrico), mercoledì 9 a Roma (Feltrinelli Argentina, ore 18, con Niccolò Ammaniti e Loredana Lipperini), venerdì 11 a Prato (Museo Pecci, ore 18.30, con Edoardo Nesi), domenica 13 a Trento (Festival dello sport, ore 11, con Novella Calligaris e Aldo Cazzullo), il 19 a Perugia (Umbria Green Festival, ore 18.30, con Daniele Zepparelli), il 29 a Bologna (Sala Borsa, ore 18) e il 12 novembre a Torino (Circolo dei Lettori, ore 18). 5 ottobre 2024 (modifica il 5 ottobre 2024 | 18:12) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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I romanzi di Sandro Veronesi passano sempre dal mare. A volte all’inizio del viaggio, come in Caos calmo (2005), che si apre con due fratelli che hanno appena finito di fare surf. «Surf: come vent’anni fa. Ci siamo fatti prestare le tavole da due pischelli e ci siamo buttati tra le onde alte, lunghe, così insolite nel Tirreno che ha bagnato tutta la nostra vita». Altre volte, il mare è lo snodo centrale, quello da lasciarsi alle spalle se si vuole proseguire il viaggio in pace. Come in uno dei capitoli chiave de Il colibrì (2019), Ai Mulinelli, omaggio al racconto Il Gorgo di Beppe Fenoglio, o sul litorale viareggino di Per dove parte questo treno allegro (1988), in cui tutto – i caseggiati, i menu dei ristoranti, un incontro fra le sdraio – ricorda l’impossibilità di riappropriarsi del passato.

Il mare si prende la scena anche dove proprio non potrebbe, per esempio nel Trentino in cui è ambientato il bellissimo (e un po’ dimenticato) XY, del 2010. Lì, fra le tante morti inspiegabili registrate simultaneamente in un bosco innevato, se ne conta una dovuta al morso di uno squalo. «Non un lupo né un orso, né una lince né un leone o un leopardo o una tigre. Uno squalo». Impossibile? Non per Veronesi, che autografava le copie del Colibrì scrivendo «A tutte le navi in mare» e che ha ambientato il suo unico romanzo storico – Comandante, del 2023, scritto insieme a Edoardo De Angelis – dentro un sommergibile. Era questione di tempo, quindi, perché scrivesse un libro con cui elaborare definitivamente questa sua ossessione neo-conradiana per le onde, le spiagge e gli stabilimenti balneari, persino, come luoghi in cui la vita si impenna e a volte frena di colpo.

Si intitola Settembre nero, lo pubblica La nave di Teseo ed è la storia di Luigi Bellandi detto Gigio, «dodici anni e quattro mesi, promosso con Distinto in terza media, tifoso della Juve, di Bitossi e della Ferrari nonché patito per tutti gli altri sport pur senza praticarne alcuno, mite, passivo e generalmente poco intraprendente». Gigio, in realtà, è un uomo adulto che parla dal presente, ma ciò che vuole raccontarci riguarda la sua estate del ’72, trascorsa seguendo le Olimpiadi di Monaco in tv e ascoltando dischi nella cameretta di Astel Raimondi, vicina di ombrellone bella, ricca e (forse) inconquistabile. Che pace, vero? Finalmente un romanzo in cui la nostalgia è una cosa dolce, tonda, rilassante… Peccato che Gigio ci abbia rovinato la festa già a pagina uno: quella che stiamo per leggere, dice, è la storia di come nasce un’infelicità. E infatti, su tutto aleggia l’attesa della catastrofe. Che riguarda certamente il massacro del 5 settembre nel villaggio olimpico di Monaco di Baviera – a opera del gruppo terroristico Settembre Nero, da cui una prima accezione per il titolo del romanzo – ma anche qualcosa nel privato dei Bellandi. Qualcosa che non si è ancora trasformato in tragedia. La barca del papà?, i corteggiatori della mamma?, il rutilismo della sorella? O forse la vicinanza coi Raimondi, il silenzio che regna nella grande casa di Astel? Veronesi fa il dio dispettoso e cosparge la spiaggia di false piste, consapevole che l’accoppiata estate & primo amore rende tutti ciechi, fuori e dentro le pagine. «Ecco perché ho pensato che mettermi a nudo con un racconto veramente sincero e onesto e scrupoloso possa servire a farmi andare finalmente oltre quella domanda: ero in grado di cambiare il corso degli eventi? Tutto quello che mi serve è una sillaba: sì. Oppure: no. E finalmente vedere cosa c’è dietro».

Per noi lettori, dietro c’è la carriera di Sandro Veronesi, nel senso che Settembre nero, come si è detto, sembra un libro profetizzato da tutti e dieci i romanzi che l’hanno preceduto. Eppure non somiglia a nessuno di loro, neanche a Gli sfiorati (1990), da cui eredita l’effetto countdown per la sciagura, né a Per dove parte questo treno allegro, di cui sembra una specie di contraltare, un racconto sulla genesi del disincanto. È come un fratello giovane che del padre ha preso la voce e le movenze ma non i connotati: lo si riconosce, insomma, ma solo dopo aver visto come cammina, come gesticola, cosa ha da dire. Tanto per cominciare, è uno dei pochissimi libri di Veronesi scritti al passato remoto, e forse il solo ambientato interamente nei ricordi. E poi fa genere a sé. «Come ogni buon libro», starà commentando qualcuno, pensando ad autori eccellenti di romanzi sempre diversi e sempre privi di etichette, tipo Kazuo Ishiguro o Thomas Pynchon, che per Veronesi è un modello dichiarato. No, qui la questione definitoria è più concreta: Settembre nero si fa leggere come un giallo pur non avendone le caratteristiche formali. È, cioè, un mystery in cui si attende non la risoluzione ma l’innesco, non di scoprire il colpevole ma la natura del delitto. Cos’è successo, a Gigio e alla sua famiglia? Quando deflagrerà la bomba che sentiamo ticchettare fin dall’incipit? La risposta alla seconda domanda è: tardissimo, quasi nei ringraziamenti. Perché è questo che l’autore voleva: scrivere un romanzo d’attesa, di pura tensione; vedere quanto e come riesce ad avanzare un thriller senza testa.

Veronesi, che per via del successo commerciale e della prosa accogliente viene oggi immaginato come uno scrittore istituzionale, classico, lineare, è sempre stato, in verità, un grande sperimentatore. I suoi libri meno ricordati, il già citato XY e Brucia Troia (2007), avevano un coraggioso impianto visionario, come l’interludio epistolare di Caos calmo (Pietro che spia fra le email di Lara e ne scopre una delirante) e i racconti Profezia, in cui lo scrittore elabora la morte del padre prima che avvenga, e Addio bambino Lucio, in cui si accommiata dal figlio nella forma infantile per dare il benvenuto a quella adolescente. Forse per impronta dei suoi studi da architetto, Veronesi si è mostrato inquieto anche nel gestire le strutture:
Caos calmo e Terre rare (2014) non sono che un affastellarsi di incontri, dialoghi e aneddoti tenuti insieme da un pretesto, che nel primo era l’esigenza del protagonista di fermarsi e nel secondo quella di fuggire; Il colibrì, invece, svela una certa insofferenza per le gabbie narratologiche e procede per frammenti, lettere, email, sms, divagazioni quasi saggistiche, pur restando genuinamente e orgogliosamente romanzo.

In Settembre nero si tenta una nuova capriola, stavolta all’indietro. Una specie di chiamata marziale all’auto-disciplina, edificata sulla passione dell’autore per le compilazioni, le liste, i memorabilia, gli idoli. Gran parte del romanzo, infatti, scivola via come un godibilissimo elenco di dischi, testi di canzoni e storie di atleti, che restituiscono, tutti insieme, un affresco degli anni Settanta vivido e definitivo – almeno nell’opera di Veronesi, che meglio di così, in termini di descrizione del passato, di quel passato, non potrà fare. Come sarà difficile proseguire il suo lungo discorso sulla paternità, che qui assume sfumature nuove, più profonde e inafferrabili. Nei libri di Veronesi, i padri sono finora stati di due tipi: cazzari favolosi e rocamboleschi alla Alberto Sordi in In viaggio con papà o mezzi profeti i cui insegnamenti si riassumono nella parola «pazienza», come Marco Carrera nel Colibrì e Pietro Paladini in Caos calmo. Il papà di Settembre nero, invece, è un trauma in divenire, qualcosa che ancora non si è rotto ma sta per, il vero primo amore a cui dire addio. Insomma, non appartiene a nessuna delle due categorie, perché è un papà da piccoli, nel senso che Gigio ce lo descrive per come lo vedeva da bambino, quando lo adorava a scatola chiusa. E il suo racconto si fa davvero struggente proprio quando indugia su questa adorazione, perché la conosciamo tutti: amare il padre come un supereroe, scoprire che non ha i poteri, guardarlo cadere dopo essere inciampato nel mantello; tornare ad amarlo come e più di prima, perché nel mantello che ci ha lasciato in eredità siamo, col tempo, inciampati anche noi. Non è facile raccontare questa altalena fra magia e disillusione senza sarcasmo, senza rabbia, eppure Veronesi ci riesce. Anzi, si fa dolcissimo, gentile; evidentemente, guarda quel padre da padre, che forse è l’unico modo per spezzare la catena, per scoprire che la buona letteratura germoglia dalla frase «Quando sarai grande capirai». Ecco, Settembre nero è proprio questo, una luminosa dichiarazione d’amore alle ragioni delle nostre crepe, quella biforcatura che ha generato involontariamente l’infelicità mostrandoci, allo stesso tempo, quanto può essere pura la felicità.

Un’altra cosa interessante di questo romanzo, ma non solo: col tempo, Veronesi – trentasei anni di carriera e due vittorie al Premio Strega (nel 2006 e nel 2020, l’unico insieme a Paolo Volponi) – sta accentuando la tendenza a rivestire di straordinarietà figure comuni ma simpatiche; a, diciamo, mitizzare gli amabili. La cosa è cominciata nel 2014, con Terre rare, quando Marta, la disastrosa e irresistibile cognata di Pietro, nonché uno dei più bei personaggi della nostra narrativa recente, compiva gesta incredibili durante un viaggio in Islanda. Qui, gli straordinari sono lo zio Giotti, pittoresco amico di famiglia dalla vita turbolenta, e Gilda, geniale sorella di Gigio. Il quale invece è bravo solo in una cosa: amare le persone. Come Paladini, Carrera, Mète e gli altri protagonisti di Veronesi prima di lui, e quindi forse come Veronesi stesso, che ha un voce sempre più incantata, sempre più commossa al pensiero che esistano le famiglie, i fratelli, i figli, le nuove generazioni; gli altri. Da qui, la voglia di coccolare i suoi personaggi con magnificazioni continue, le stesse che si susseguono alle nostre tavole, nelle nostre conversazioni telefoniche, quando definiamo «unica» una sorella appena promossa sul lavoro, «meraviglioso» un figlio piccolo che sorride agli anziani per strada, «pazzesca» una moglie con un’intelligenza emotiva più sviluppata della nostra. Questa cosa, questo rivestire di eccezionalità l’ordinario, si chiama benevolenza, ed è l’argomento di cui ha sempre voluto scrivere Sandro Veronesi. Lo ha fatto anche stavolta, passando come sempre dalla costa e invitandoci a guardare fuori, ché c’è un mare stupendo, irripetibile.

Il libro e gli incontri con l’autore

«Settembre nero», il nuovo romanzo di Sandro Veronesi, esce martedì 8 ottobre per La nave di Teseo (pp. 293, euro 20). La nave di Teseo, per la quale è uscito il romanzo che ha vinto lo Strega nel 2020 («Il colibrì»), ripropone ora anche libri di Veronesi già apparsi presso altri editori, come Bompiani e Fandango. Veronesi presenta domenica 6 ottobre il libro a Napoli (Festival Campania Libri, ore 19, con Teresa Ciabatti e Silvio Perrella), martedì 8 a Milano (Rizzoli Galleria, ore 18, con Cristina Battocletti e Antonio D’Orrico), mercoledì 9 a Roma (Feltrinelli Argentina, ore 18, con Niccolò Ammaniti e Loredana Lipperini), venerdì 11 a Prato (Museo Pecci, ore 18.30, con Edoardo Nesi), domenica 13 a Trento (Festival dello sport, ore 11, con Novella Calligaris e Aldo Cazzullo), il 19 a Perugia (Umbria Green Festival, ore 18.30, con Daniele Zepparelli), il 29 a Bologna (Sala Borsa, ore 18) e il 12 novembre a Torino (Circolo dei Lettori, ore 18).

5 ottobre 2024 (modifica il 5 ottobre 2024 | 18:12)

5 ottobre 2024 (modifica il 5 ottobre 2024 | 18:12)