Lorenzo e John alla Conferenza dei giovani
italiani nel mondo: impressioni e propositi
Vancouver
“Roma è stata davvero interessante. Penso di essermi potuto rendere conto della cultura italiana contemporanea. Avevo visitato Roma in passato, ma questa volta è stata per me un’esperienza differente. Ho preso parte al workshop su Mondo del lavoro e lavoro nel mondo, tema che realmente sottende un grosso problema a livello mondiale”. Così ha esordito Lorenzo Giuffrè quando gli ho chiesto le sue impressioni sulla partecipazione alla Conferenza del dicembre scorso. Il giovane, ventiseienne studente universitario con focus sull’industrial design, ha alle spalle un curriculum non indifferente: possiede diplomi di scuola superiore e college, oltre a dieci anni di accademia di pianoforte al Royal Conservatory of Music. E ben a ragione può esprimere un pensiero sul mondo del lavoro. Fin da ragazzino ha lavorato e tuttora lavora part-time per mantenersi e perseguire la sua vocazione d’artista. Facendo il cameriere, il barista, l’operaio generico. Come fanno quasi tutti gli studenti canadesi nelle ore libere dalla scuola e durante le vacanze estive e invernali. C’è da ammirarli e additarli ad esempio!
Anche il coetaneo John Mosca, che con Giuffrè ha rappresentato Vancouver alla Conferenza, è stato studente-lavoratore. Ambedue i giovani hanno perciò scelto di seguire e dare il loro apporto al relativo workshop. Mosca è laureato in materie umanistiche alla University of British Columbia, ha frequentato i corsi di lingua e cultura italiana delle università di Perugia e di Siena, alternando studi e percorso accademico con lavori di controllore in sale cinematogra?che, enumeratore del censimento canadese e impiegato di Tourism BC, ente che lo impegna tuttora come ricercatore di iniziative atte a promuovere la British Columbia quale destinazione turistica. Sta anche piani?cando di frequentare, l’anno prossimo, la facoltà di legge alla UBC “se mi accetteranno” dice, “dopodichè non sono ancora sicuro su quanto vorrò fare”. Per ora, come volontario, insegna geogra?a agli allievi del terzo e quarto grado di una locale scuola elementare.
“Non so se la mia presenza alla conferenza di Roma sia stata positiva, se io fossi il tipo di persona cui era rivolta questa iniziativa” risponde John ad una precisa domanda. “La mia prima impressione è stata di sorpresa per quanto completamente italiani tutti mi apparissero. Come discendente di quarta o quinta generazione italo-irlandese, inizialmente mi sono sentito spiazzato tra i moltissimi giovani nati in Italia o allevati da genitori di lingua italiana. La maggioranza di loro aveva cittadinanza italiana e manifestava forti legami culturali sociali e politici con l’Italia. Non io. Detto questo, credo ci siano in Canada e negli Stati Uniti molti italiani che – come me – si identi?cano principalmente come canadesi o americani, provando tuttavia un’af?nità culturale con il paese dei loro antenati”. I genitori del giovane sono nati a New York, la madre di origine irlandese, italiana il padre. “Mio nonno approdò a New York un secolo fa proveniente da Gragnano di Campania” precisa John. E onestamente confessa: “La mia relazione con lingua e cultura italiane è frutto di scoperta tardiva: ero diciottenne quando appresi le prime frasi di italiano all’università, e diciannovenne quando andai per la prima volta in Italia a studiare. Non ero cresciuto in ambiente italiano e, nonostante alcune tradizioni siano sopravissute nel tempo, la mia famiglia è, culturalmente, più o meno americana”. La penseranno in egual modo i suoi due fratelli maggiori, il ventottenne Pete e il trentenne Matthew? Ne parleranno tra loro?
La percezione di Lorenzo Giuffrè sul tema proposto dal workshop romano appare di ampio respiro. “Con l’avvento dei viaggi aerei, la gente si sposta sempre più e sempre più velocemente da continente a continente. Si trasferiscono abilità e tecniche in altri paesi. Ma non è cosi facile, poichè spesso i tempi non ti permettono di “rifare” tutta la tua educazione. Non penso che un paese possa realmente avere successo nel mondo di oggi se non facilita praticamente l’ingresso di nuovi talenti, al ?ne di evitare la stagnazione. Credo che l’Italia, così come molte altre nazioni europee, abbia necessità di persone formatesi altrove, in culture differenti, per avanzare nel mercato globale. Come puoi vendere un prodotto in un paese come il Giappone se non conosci e capisci la cultura che sta comprando quel prodotto?…. Penso ci sia bisogno di uno scambio serio e concreto tra culture, altrimenti sprechiamo tempo e denaro”.
Personalmente, completati gli studi in corso, Lorenzo vorrebbe avere un’esperienza di lavoro “per un paio d’anni” nel settore del disegno industriale, specializzarsi e andare poi a “vivere e lavorare per una compagnia in Italia”. Figlio unico, proviene da una grande famiglia di artisti. “Mio padre è mezzo-italiano, nato a Corfú in Grecia. Mio nonno, Gian Giuffrè, era nato in Italia, penso in Sicilia. I miei nonni erano vissuti per circa un ventennio a Como”. In conseguenza, come vede, sente e vive la sua identità il loro giovane discendente? “E’ dif?cile rispondere – mi dice – perche’ sono nato e cresciuto a Vancouver. Avverto molto la provenienza locale, eppure mi sento italiano. Mi identi?co moltissimo con cultura, lingua e storia d’Italia. Mi trovo tuttavia ad un bivio: per diventare più italiano debbo andare a vivere in Italia. Dove posso imparare ad essere più italiano rimanendo a Vancouver?”…. E ancora, ad una successiva domanda: “La mia de?nizione di identità? è quant’è nel carattere e nella formazione di una persona”. Per John l’identità è invece una questione di scelta: “Suppongo che, dal momento che ho deciso di perseguire un interesse per lingua e cultura italiana, io ho scelto di identi?carmi come italiano”.
Dopo l’esperienza romana, ambedue i giovani vorrebbero far parte di qualche gruppo spontaneo di giovani italocanadesi, per scambiare insieme idee e maturare qualche progetto di comune interesse. Il console generale Vanni d’Archira?, che al loro rientro dalla Conferenza li ha ricevuti, presente anche il consigliere del Cgie Di Trolio, li desidererebbe coinvolti in un’unica associazione di giovani. “Alcune associazioni hanno avviato delle iniziative in questo senso e ritengo sia necessario riportare queste nascenti esperienze in un solco di comune azione” ha dichiarato. Da parte sua, il presidente del Centro culturale italiano, Joe Finamore, in un suo messaggio aveva già aperto le porte ai giovani, di qualsiasi provenienza regionale fossero.
“Mi piacerebbe contribuire in qualche modo alla comunità italiana di Vancouver, ma vorrei per ora – ?nchè non avrò completato gli studi – incontrare più gente della mia età e parlare italiano. Senz’altro vorrei anche presenziare agli eventi culturali del Centro e dell’Istituto” con?da Lorenzo, che aggiunge di aver avuto fortuna nell’aggiudicarsi la designazione alla Conferenza da parte del Comites locale. “Avutane notizia, ho fatto la mia richiesta e sono stato davvero fortunato, perchè ero il terzo candidato selezionato…. una giovane s’è ritirata all’ultimo momento e così sono stato il numero due, quale fortuna!”. Anche John, che dichiara un “interesse largamente linguistico”, vorrebbe conoscere altri giovani “per parlare e imparare insieme, che è la nostra più importante priorità”. Di associazionismo tradizionale non se ne parla proprio. C’è veramente bisogno di qualcosa di innovativo. Che segnali trarne?
@Anna M Zampieri Pan, 10 febbraio 2009