In memoria di Rina D’Amico, donna-medico nel mondo
Notissima a Vancouver e popolarissima all’interno della comunità italiana, l’amata e rispettata dottoressa Rosarina (Rina) D’Amico vedova Alberton si è spenta all’alba del 19 dicembre 2007 a Williams Lake, assistita dalla figlia primogenita Eileen, veterinaria in quella località, e dalla nipote Danielle. Dieci giorni dopo avrebbe compiuto 86 anni, essendo nata il 29 dicembre 1921 a Canolo di Reggio Calabria. Giovanissima aveva individuato la sua vocazione…. essere medico nel mondo! Ecco come ne parla lei stessa nel corso di un’intervista risalente al 1995, allora largamente diffusa, e che qui riprendiamo a memoria di una esemplare benefattrice della nostra società.
Da quando è in pensione ha potuto dedicare piú tempo a se stessa, alla prediletta lettura, all’ascolto della musica, alla conversazione intelligente con gli amici piú cari. È nonna felice. Non dice mai di no alle richieste di aiuto e di consiglio. Rina D’Amico è quasi una favola per le donne della comunità italiana di Vancouver, specialmente per quelle giunte con il grande esodo degli anni Cinquanta; ma è un punto di riferimento anche per le loro figlie, delle quali è stata spesso una seconda madre e sempre un’amica.
Laureata in medicina all’università di Roma nel 1947, fece un severo apprendistato in una clinica irlandese di Dublino e successivamente negli Stati Uniti, in New Jersey, per approdare poi ad Ottawa, capitale del Canada, dove lavorò presso l’Ospedale generale. Ad Ottawa si era scontrata con una dura realtà: l’accettazione di medici “stranieri” era allora limitata ai maschi. La giovanissima dottoressa D’Amico avrebbe forse potuto stare con le infermiere…. Su tutti i pregiudizi ebbero ragione la pazienza, l’intelligenza e l’innata modestia di questa donna dal carattere forte e determinato, che aveva deciso di lasciare – nemmeno ventenne – Siderno Marina in Calabria, dove fin dalla fanciullezza aveva individuato la sua vocazione. Voleva essere medico e voleva esserlo nel mondo.
Dopo il tirocinio e l’abilitazione all’esercizio della professione, si trasferì a Vancouver, dove per vent’anni prestò la sua opera nei reparti di ostetricia e pediatria del St. Paul Hospital, in centro città. Decise quindi di aprire un ambulatorio a Vancouver East, nel cuore della comunità italiana. Sposata ad un bassanese, l’ingegner Ruggero Alberton, ex ufficiale di marina incontrato a Vancouver, ha avuto tre figli: Eileen, veterinario e madre di due ragazze; Bruno, medico condotto a Gaspé in Quebec e padre di tre bimbe; e Rita, insegnante di lingue. Anche se può essere raccontata come un’avventura alla scoperta del mondo, la vita di Rina D’Amico è stata e continua ad essere una missione. Intervistata sul tema del ruolo della donna in emigrazione, ha dato risposte brevi ma illuminanti.
Alla luce della sua esperienza, qual’è il ruolo della donna in emigrazione?
Prima di emigrare sentivo dire: ah, l’America… là una donna è veramente regina. Invece non è vero niente. In Italia la donna è regina. In emigrazione la donna è soprattutto la collaboratrice del marito, anche se ha una professione diversa dalla sua. L’impegno è comunque duplice: collaboratrice del marito e perno della famiglia. La donna in emigrazione ha sempre lavorato sodo: se le famiglie sono rimaste unite ed hanno raggiunto il benessere, possiamo dire che lo si deve soprattutto alla donna.
Quali sono le aspirazioni della donna in emigrazione e che cosa può fare per realizzarle?
Avere una casa propria e poter dare ai propri figli quanto non si sarebbe potuto dare rimanendo in Italia. Io volevo viaggiare, conoscere il mondo, esercitare la professione medica all’estero, imparare le lingue (tante guerre sarebbero evitate se gli uomini imparassero a comunicare nei rispettivi linguaggi…). Come realizzare queste aspirazioni? Lavorando: con l’impegno nella professione e nella
Qual’ è la patria di una donna emigrata, quando i figli sono cresciuti ed hanno formato le loro famiglie in terra di emigrazione?
Per me, la mia patria è il mondo. Però, quando arrivo in Italia, sento una grande commozione. Altrettanto posso dire per i miei ritorni in Canada. E allora, nonostante la vocazione internazionale, posso riconoscere due patrie: quella dove sono nata io, e quella dove sono nati i miei tre figli. Questo amore per le due patrie ritengo che sia comune a gran parte delle donne. Quelle che io conosco, lo condividono tutte.
Che cosa rimane della propria giovinezza e della propria memoria nel cuore di una donna, dopo tanti anni di lontananza dalla terra natale?
Rimane tutto. Ricordi, esperienze, sentimenti, impressioni…. Devo dire anche che i giovani di un tempo non avevano tante esigenze, e quindi tutto ciò che rimane nella loro memoria, filtrato dagli anni,è chiaro ed essenziale. Ho conosciuto meglio l’Italia dopo averla lasciata, perchè ci sono tornata quasi ogni anno con mio marito e con i figli. Ciò è servito ad arricchire la mia memoria. Con risultati molto positivi.
Che cosa le costò partire dalla sua terra?
Non è stato uno strappo, come potè esserlo per altre donne. La prima volta che ne uscii, nel 1948, mi recai in Irlanda: intendevo perfezionare il mio inglese e fare esperienza medica in ospedale. Doveva trattarsi di emigrazione temporanea: un solo anno. E invece, al termine di quell’anno, mi trasferii in Canada. E l’emigrazione diventò definitiva. Non mi costarono molto le due partenze, per quella mia vocazione a girare il mondo e a svolgervi la mia missione, cui ho fatto cenno prima. Però so che molte donne hanno sofferto a lungo, mentre altre hanno apprezzato il miglioramento delle condizioni di vita e hanno accettato serenamente la realtà.
L’emigrazione ha arricchito o mortificato la sua personalità?
L’emigrazione non può che arricchire. Si apprendono altre lingue, si conoscono altri paesi e altre culture, si conquista una visione più ampia della realtà. Anche se esistono le eccezioni, la donna emigrata ha il vantaggio di vivere esperienze più composite e più profonde. Per me rappresentò l’accesso al mondo del lavoro e la qualificazione professionale senza lunghe attese, senza ritardi, senza impacci burocratici. Certo è che la via dell’emigrazione mi ha consentito di essere veramente me stessa.
Ci sono dei fatti o dei momenti particolari della sua vita che ama ricordare?
Quando avevo quarant’anni ed è nata la mia terzogenita…. Ero affermata come medico, avevo la mia casa, tutto andava bene. Anche ora tutto va bene, ma non ho più quarant’anni…. E poi vorrei ricordare due donne, come me allora quarantenni, che volevano a tutti i costi abortire ed io fui felice di convincerle a non farlo… Ora i loro figli, sani e forti, quando mi incontrano mi abbracciano e mi baciano…. Tutto ciò è molto bello.
(Anna M. Zampieri Pan, Marzo 1995)