Per decenni sono andata alla ricerca di semplici storie di italiani non famosi da raccontare. Dal Brasile al Guatemala, dal Messico alla California, dai paesi affacciati sul Pacifico al punto di partenza, Vancouver e British Columbia. Quante lezioni di umanità nei personaggi intervistati! Solo di recente ho scoperto un’altra persona speciale nello stesso villaggio di pescatori e agricoltori dove risiedo ormai da due decenni. “Ma quando come e perchè è arrivato a Ladner?” chiedo a Beppe Gandola, benestante pensionato, già gestore e proprietario del noto ex ristorante La Strada, chiuso qualche anno fa. “È scritto in questo libro” risponde, facendomi omaggio del suo Out of the Black Pot, oltre trecento pagine in chiaro e fluido inglese, a memoria di una vita combattuta con determinazione per riscattarsi da condizioni di estrema povertà.
“La mia storia ha inizio a Begola, a sei chilometri da Bellagio sul lago di Como, è là che son nato, sestogenito dei sette figli di papà Giovanin e mamma Gina”, mi dice. Lombardo di nascita quindi, con un cognome di antica origine veneziana (storpiatura di gondola, alla cui fabbricazione si dedicavano i suoi antenati).
A metà anni quaranta, ancora sanguinanti le ferite del secondo conflitto mondiale, il lavoro scarseggiava, molte famiglie, specialmente quelle numerose, soffrivano la fame. Spesso anche il freddo e l’isolamento. I nove Gandola abitavano nella montagna prospicente il lago, in una casetta di sassi, due stanze e un bugigattolo per asino e capra. Tutto intorno il bosco, provvidenziale fonte di legna per il focolare, ma anche preziosa riserva di animaletti in libertà, di castagne, erbe selvatiche e funghi da cucinare nell’affumicata pignatta appesa sopra il fuoco. Papà Giovanin riparava ombrelli, andava in paese a vendere erbe, catturava quando possibile qualche bestiola abbandonata da destinare alla Black Pot. Mamma Gina, dopo la nascita dell’ultimogenito Teo e la tragica morte del primogenito Stefano, non resse al dolore e fu ricoverata per malattia mentale.
Completata la quinta elementare, Beppe fu mandato a lavorare in una trattoria a trenta chilometri da casa. Puliva pavimenti e riempiva bicchieri di vino: quattordici ore al giorno, per quattro anni. Un sottoscala per dormitorio, “il mio rifugio e un posto per piangere”. Ma da quella durissima prova nacque il riscatto. E fu un persistente salire e specializzarsi nel settore dell’ospitalità e della ristorazione: dal Due Torri di Lecco all’Hotel du Lac di Bellagio (dove il 30 giugno 1963 fu ospitato il presidente Kennedy. “Mi sorrise e mi strinse la mano… è stato meraviglioso… avrei voluto dirgli qualcosa, ma la lingua inglese mi era ancora sconosciuta”).
Beppe, diventato poliglotta dopo anni di lavoro in Germania, Belgio e Inghilterra, a metà anni Settanta, sposato da poco con l’australiana Sandra, scelse l’avventura del Canada. Portava all’elegante Panorama Roof dell’Hotel Vancouver l’esperienza maturata al Savoy Hotel di Londra, dove aveva servito personaggi celebri del cinema e membri della famiglia reale. Comprò casa a Ladner, i figli John e Claire crebbero qui. Oggi Beppe e Sandra, dopo una vita di sacrifici e duro lavoro, scorazzano felici per il Nordamerica in motorhome, la loro casa viaggiante.
“Every winter just before Christmas we went into the snow covered woods to harvest prickly juniper branches to take door to door in the village and offered them to families for burning in their fireplace on Christmas Eve. The juniper oils in the branches crackled and the sparks flew out of the chimney, which was a signal for Babbo Natale. We did not ask for anything in return but people always gave us something in the form of nuts, candies, tangerines, oranges, dried figs or coins. Papà took the coins and locked the rest of the loot up; then on Christmas day he brought it out in a basket and spread it onto the table. Those were all our gifts from Santa.” (Giuseppe Gandola: Out of the Black Pot, The memoirs of an Italian immigrant).