Canada. Luigia Zilli, la pittrice della gente in bicicletta
Colori, tavolozza e…pedale
Cresciuta nella bottega di carlo Balljana, ha trovato oltreoceano una seconda patria che le ha permesso di esprimersi come artista. Oggi ha due figlie, ed è decisa a tenere vive le sue radici venete.
di Anna Maria Zampieri Pan
Vancouver, bc
Un Giro di Burnaby nell’area metropolitana di Vancouver? Non Tour come ne esistono localmente altri – basti nominare i già affermati Tour de Delta, Tour de Gastown e Tour de White Rock – ma Giro, proprio in italiano e con caratteristiche italiane. Il ciclismo sportivo non è così popolare in Canada come lo sono Lacrosse e Hockey su ghiaccio, proclamati sport ufficiali della nazione da una legge del 1994. (*) Eppure il ciclismo si sta affermando come attività gioiosa e sana, da vivere all’aria aperta, in un’ideale sintonia tra l’impegno dei grintosi partecipanti e l’entusiasmo degli spettatori, tifosi di ogni età e condizione sociale. Deve averci pensato bene il consigliere comunale Pietro Calendino, già membro in passato del Parlamento provinciale e personaggio trainante di iniziative comunitarie nella vastissima zona amministrata dalla City of Burnaby, prima di proporre e sostenere il Giro di Burnaby. Un successo fin dall’inizio, l’anno scorso, con un bel numero di partecipanti nelle varie categorie e una lusinghiera risposta del pubblico. Ripetuti, quasi raddoppiati, nel luglio di quest’anno.
Si è trattato di una manifestazione di orgoglio comunitario e, insieme, di una spinta alla promozione commerciale e turistica del luogo. L’edizione 2007 è stata ampiamente sponsorizzata, oltre che dal periodico locale: Burnaby Now e da istituzioni finanziarie, anche da un gruppo di note imprese italocanadesi: in testa la Embassy Development presieduta da Ryan Bosa, seguita da Appia Development (Jim Bosa), Bosa Development Corporation (Natale Bosa), Palladio Jewelery (Jason Bosa) e la Bosa Foods; e ancora le ditte Boffo, Brenta, ECM Espresso Coffee Machines (Tommaso Bresciani), Giordana, Larosa, Moscone, Newway (Bortolussi), Tri-Metal ed altri. Da segnalare anche il sostegno attivo delle Associazioni Basilicata e Calabrese che, nel circondario di Burnaby, contano parecchi soci e simpatizzanti. Ma la novità assoluta – e ragione non secondaria della nostra attenzione – è stata la designazione della pittrice Luigia Zilli quale “artista ufficiale per il Giro di Burnaby”. A lei è stato affidato il compito di dare vita all’immagine artistica della manifestazione, creandone rappresentazioni grafiche, manifesti e striscioni (i banners appesi agli alti piloni lungo il percorso), e disegnando il trofeo in bronzo per i vincitori.
Nata nella seconda metà degli anni Sessanta a Col San Martino, nel trevigiano, arrivata in Canada alla fine degli anni Novanta, sposata dal 1999 con George Aguirre, originario di Città del Guatemala, due splendide bambine nei cui tratti fisici e caratteriali stanno emergendo le etnie dei genitori innestate nella composita realtà canadese, Luigia Zilli non è certo nuova al tema delle gare ciclistiche; non lo era, perlomeno, durante i suoi anni italiani. “Era il nostro sport favorito in famiglia”, ricorda. Nel 1953 suo padre aveva anche vinto un titolo regionale per ciclisti dilettanti, un suo fratello correva con Gilberto Simoni e Simone Rebellin prima che il ciclismo diventasse professionale. Partecipò lei stessa a gare femminili in tempi in cui queste non erano ancora popolari in Italia, e a tal proposito ricorda con ammirazione Maria Canins, che definisce “fenomenale: una vera forza della natura”. Tutto ciò fa parte dell’esperienza degli anni giovanili, prima di dover lasciare lo sport attivo per il lavoro. “Ma non ho rimpianti – afferma Luigia – mi sono divertita e ho incontrato tante persone meravigliose, tra cui la campionessa mondiale Alessandra Cappellotto”. Oggi, a distanza di anni e in un contesto assolutamente diverso da quello del Veneto, regione d’origine, Luigia Zilli afferma che “è impossibile lasciare una passione, ed eccomi qui, a dipingere la vita di gente in bicicletta, per hobby, sport o utilità quotidiana”.
Rimane da capire come negli anni lavorativi – tra il periodo della bicicletta e quello della pittura – si sia sviluppato in lei il percorso artistico. Ci sono segnali premonitori, nella vita di questa giovane donna, tali da lasciarcelo intendere.
Zampieri Pan. Quando hai cominciato a dipingere? Dipingevi anche quando eri in Italia? E quando hai deciso di farne la tua attività principale, naturalmente conciliandola con l’impegno di moglie e madre?
Zilli. Sebbene da ragazzina abbia “trafficato” con matite e pennelli e, più tardi, nello studio di Carlo Balljana (**), abbia acquarellato le edizioni limitate di stampe di disegni-studio delle sue opere, ho iniziato a dipingere a olio solo nel 1986, facendo la prima mostra personale l’anno dopo. Non potevo certo permettermi di dipingere e vivere con le vendite, e così, dopo aver lasciato lo studio dello scultore, lavorai in una fabbrica di cornici. Dopo il lavoro ero troppo stanca per dedicarmi all’arte, e lo confidai al titolare della ditta, il fotografo Mario Vidor, che mi aiutò con consigli e incoraggiamenti, facendomi tuttavia capire che per me non sarebbe stato facile conciliare arte e lavoro. Emigrata in Canada nel 1999, non toccai pennello fino al 2004 (la mia secondogenita non aveva ancora un anno), quando lessi un bando di concorso del Burnaby Arts Council. Mi misi a dipingere. Accettarono Sunday morning ride, un paesaggio con donna in bicicletta, una figura femminile che pedala, in una strada bianca sterrata, di ritorno dalla messa domenicale. Il dipinto vinse il People Choice Award e l’uso della galleria per una mostra collettiva di un mese nell’anno successivo. Dopo di allora altre mostre e commissioni. L’arte è diventata finalmente il mio mestiere, insieme con l’essere moglie e madre.
Dove e come hai conosciuto tuo marito?
A Vancouver, dov’ero venuta in vacanza ospite di una zia. Nato a Città del Guatemala nel 1971, emigrato con la sua famiglia nel 1991, Jorge ha, o meglio aveva all’epoca, la passione di scrivere poesie, più che altro in spagnolo, ma anche in inglese. E da anima romantica, come ai tempi antichi, ha usato lo stratagemma di leggermele durante i nostri primi incontri, e quando mi scriveva… Che furbacchione! Mio marito lavora attualmente nell’import e nella logistica per una ditta che si occupa di attrezzature varie.
Tu sei un’emigrante di ritorno: sei stata portata in Canada, la prima volta, all’età di tre mesi. Che ricordi hai dei tuoi anni infantili a Vancouver?
Mio padre era arrivato qui nel 1960. Andò a sposarsi in Italia nel 1964 e vi rimase fino all’inizio del ’66 quando decise di ritornare in Canada. Nel frattempo, mio fratello maggiore aveva compiuto un anno e io stavo per arrivare. Mamma raggiunse papà a Vancouver dopo la mia nascita; avevo tre mesi. Siamo rimasti fino al 1970 quando i miei genitori hanno deciso di rientrare in Italia: si erano costruiti la casa al paese; il Canada era solo una parentesi per mettere da parte dei soldi. Non ricordo quasi nulla di quel periodo.
Come ti è apparsa la vita in Canada quasi trent’anni dopo, e come ti appare ora?
L’impressione era che tutto sembrava più grande e congestionato: strade, negozi, distanze. Ed essendo cresciuta in un piccolo paese, una metropoli come Vancouver e una città come Burnaby mi sembravano più affollate e stressanti. Mi è rimasta la stessa impressione: mi manca la vita del paese, penso talora che vorrei vivere in un posto più tranquillo, fuori città. Burnaby ha tanto verde, con parchi, giardini, campi da golf, meravigliose colline, e se non piove è molto bella. Purtroppo la pioggia è per me un deterrente: non ci sono ancora abituata.
Che cosa conservi della tua italianità, o meglio veneticità, nell’attuale realtà di cittadina canadese?
Sono nata in un paese di 4 mila abitanti, ricco di vigneti. Sono vissuta per 13 anni nella vicina Pieve di Soligo, poco più grande di Col San Martino. Le mie radici sono e rimarranno sempre piantate in Italia, nella terra dove ho trascorso i miei primi 33 anni di vita. Sono tuttavia orgogliosa di essere cittadina canadese perché il Canada ha sempre dato buone opportunità a tutti. Sono felice di aiutare la comunità, quando posso, e di condividere esperienze e conoscenze, come nel caso del Giro di Burnaby o dello Studio Tour degli artisti di Burnaby. Ma ritengo importante che tutte le persone, di qualsiasi etnia, mantengano radici, storia e identità. Bisogna raccontare ai figli da dove si viene, parlare della famiglia, delle tradizioni.
Che lingua parlate in casa? Quale educazione avete deciso di dare alle vostre figlie? Insegnerete loro anche le lingue spagnola, italiana e veneta?
Mio marito e io siamo di provenienze diverse. In casa si parla inglese. Le bambine crescono parlando inglese, ma conoscono anche un po’ di italiano e di spagnolo. Quando posso, cerco di parlare con loro in italiano. Per quanto riguarda la loro educazione, si vedrà quali saranno i loro interessi. Non credo che insegnerò loro il veneto prima dell’italiano, non da subito almeno, non voglio confonderle. Ma sicuramente avremo tempo di fare qualche mese di full immersion quando viaggeremo in Italia e in Veneto.
(*) Di questi due, il primo ha una storia antica, essendo stato inventato dai nativi, mentre la pratica del secondo risale alla fine dell’Ottocento.
(**) Carlo Balljana, famoso scultore nato a Farra di Soligo, vive e lavora tra Sernaglia della Battaglia e Parigi. Ha eseguito oltre 80 monumenti in Europa. Un’opera di rilevanza mondiale è il reliquiario in oro e argento che conserva l’apparato vocale di sant’Antonio nella Cappella del Tesoro della Basilica del Santo a Padova.