Canada. Intervista ad uno dei deputati Italici più amati del paese
Ambiente, Riserva di Caccia
Già ministro nei governi di Trudeau, fin dal 1987 il suo impegno e la sua autorità in campo ecologico sono stati riconosciuti dall’Onu con l’assegnazione del Premio Global 500.
OTTAWA
Ho incontrato per la prima volta l’onorevole Charles Caccia vent’anni fa, quand’era ministro dell’Ambiente nel governo liberale retto dal leggendario Pierre E. Trudeau. L’amore per il Canada, Paese d’adozione in cui era arrivato venticinquenne dopo gli studi in Forestry Economics all’Università di Vienna, la conoscenza dei problemi ecologici dell’immenso territorio, la visione del futuro, l’idealismo legato ad una concreta capacità operativa, avevano fatto di Caccia l’uomo giusto al posto giusto. E Trudeau non se l’era fatto scappare. In precedenza, nel 1981, l’aveva nominato ministro del Lavoro: anche qui l’oriundo milanese Carlo Caccia aveva dimostrato preparazione e abilità.
La sua carriera politica era iniziata nel 1964, quand’era stato eletto nel Consiglio della Toronto metropolitana. Quattro anni dopo, trentottenne, entrava alla Camera dei Comuni come deputato per la Circoscrizione di Davenport. Da allora i suoi elettori se lo sono tenuto caro. E ogni volta è un trionfo crescente di voti per quest’uomo schivo e semplice, lavoratore instancabile, che da quasi mezzo secolo è al servizio del Canada e della sua gente. Oggi è presidente dello Standing Committee on Environment and Sustainable Development oltre che della Canada-Europa Parliamentary Association.
Caccia – riconosciuto come un veterano dei parlamentari italocanadesi – non ha mai dimenticato la sua origine italiana: una delle sue prime realizzazioni, negli anni Cinquanta, fu la co-fondazione del Centro organizzazione scuole tecniche italiane, diretto a promuovere e a migliorare l’educazione degli emigrati, sia giovani che adulti. «In Canada non siamo ospiti ma comproprietari» è stato da sempre uno dei suoi semplici, mirati messaggi.
Nonostante la mole di lavoro richiestagli dai suoi incarichi, nazionali e internazionali, da anni, puntualmente, diffonde – tramite la rete dei mass media comunitari – articoli e trasmissioni in lingua italiana: brevi, chiari e profondi messaggi, firmati modestamente Carletto Caccia. Com’è nel suo stile, il suo linguaggio è accessibile al grande pubblico, è efficace perché semplice e schietto. Lui conosce l’invidiabile segreto della comunicazione.
Msa. Il problema ecologico è un problema mondiale avendo globalizzato, prima ancora che l’attenzione dei media, le condizioni di vita delle popolazioni. Che cosa ci può dire in merito?
Caccia. Gli esperti sono arrivati alla conclusione che il problema ecologico è grave per diverse ragioni: il clima è alterato a causa dei gas serra, le ricchezze naturali sono gravemente compromesse (acqua, aria, risorse ittiche e forestali), verso il 2025 il consumo di petrolio raggiungerà il mid-term deplition point, il gas naturale verso il 2030. L’alternativa delle risorse energetiche rinnovabili sta ancora muovendo i suoi primi passi. Mentre dobbiamo gradualmente spostarci verso una politica che riduca la dipendenza dai combustibili fossili e, nel medesimo tempo, aumenti la produzione di energia con altri mezzi (cosa facile da dire ma difficile da attuare). La corsa all’acquisto di nuove armi nucleari, chimiche e biologiche assorbe cifre astronomiche ed è pericolosa perché non consente invece l’attuazione di misure sociali urgenti in molte parti del mondo. Poi, concettualmente, non ci siamo ancora resi conto che l’economia dipende dall’ecologia, cioè un’economia sana dipende da un’ecologia in buone condizioni; il capitale ittico e forestale non dovrebbe essere intaccato ma non abbiamo ancora imparato a limitarci a sfruttare l’interesse che il capitale naturale ci frutta. Abbiamo invece raccolto, e continuiamo a prelevare, dal «capitale naturale». E, di conseguenza, ci troviamo nei guai, specialmente con la pesca. Insomma, il quadro è poco rassicurante.
Lei ha lasciato l’Europa e l’Italia da circa mezzo secolo. Che rapporti mantiene adesso?
I lavori parlamentari dell’Associazione Canada-Europa mi tengono di frequente in contatto con i parlamentari del Consiglio d’Europa, a Strasburgo, e con quelli del Parlamento europeo a Bruxelles. Da dieci anni sono Presidente della Canada-Europe Parliamentary Association e di conseguenza vado spesso in Europa con colleghi canadesi per partecipare a regolari dibattiti molto interessanti e d’attualità.
Canada ed Europa. In che cosa si differenziano e in che cosa collaborano. In particolare per quanto riguarda l’ambiente.
Solamente sulle grandi linee si può lavorare insieme: ad esempio Kyoto oppure lo sviluppo sostenibile o la legge del mare (Law of the Sea). Le differenze legislative sono enormi per cui ci si deve limitare ad accordi che riguardano il miglioramento delle istituzioni. Indicativa in merito risulta la corrispondenza sul ruolo del Committee on Sustainable Development dell’Onu: l’azione comune con i colleghi europei c’è stata, ma non ha dato frutti.
Ci sono prospettive di utili scambi reciproci? E in quali settori?
In campo culturale e in quello dei rapporti parlamentari tra Canada ed Europa. In tal senso, nel settembre scorso, abbiamo avuto ottimi incontri con senatori e deputati italiani.
Italiani in Canada. Come ha visto l’integrazione della nostra comunità in questo grande ed ospitale Paese? In quali ambiti gli italocanadesi si sono distinti e si distinguono?
Sia la prima che la seconda generazione si sono integrate con notevole successo nei settori dell’industria e del commercio. La creazione dei Comites rallenta l’integrazione e crea false speranze: la soluzione dei nostri problemi non si trova a Roma bensì a Ottawa, nelle capitali provinciali e nei governi municipali. Sotto sotto, è chiaro che i partiti politici in Italia, vogliono accalappiarsi il «voto all’estero».
Lei è ottimista o pessimista circa l’esercizio del diritto di voto – facilitato per via postale – dei cittadini italiani residenti in Canada?
(Photo: Carletto Caccia. Sotto il titolo, uno scorcio di Ottawa.)
Il voto degli italiani all’estero è un diritto, nessuno lo contesta, ma dopo dieci, venti e più anni di assenza, il voto diventa un intervento in una nazione, l’Italia, alla quale siamo legati da affetto e rispetto ma dalla quale siamo sradicati per quanto concerne la vita politica e sociale. Va detto che la legge adottata al riguardo, in Inghilterra, non riconosce il diritto di voto agli espatriati britannici quando la loro assenza supera i vent’anni.